Elezioni: la matematica non è un'opinione
La matematica non è un'opinione, neppure in politica. Eppure in queste ore del dopo voto si sentono valutazioni e giudizi che con la matematica hanno poco a che fare.
Analizziamo i risultati più significativi.
1. Il Popolo delle Libertà raggiunge il 35,3% contro il 37,4% delle scorse elezioni politiche. In termini assoluti passa da 13,6 milioni di voti a quasi 11 milioni. In un contesto elettorale proporzionale, dove non è in palio la posta del governo e in cui votano il 66% degli elettori contro l'80%, (in termini assoluti 31 milioni contro 37,5) non si può certo parlare di sconfitta. In questi sei milioni di voti ci sono certamente quelli che mancano al Pdl, che non cede consenso ad altri partiti.
La perdita dei voti è in larga parte da ascrivere ad una campagna elettorale “incarognita”, come ha detto il Capo dello Stato, una campagna elettorale che ha cercato di demolire l'immagine morale dell'uomo Silvio Berlusconi, una campagna indegna che ha allontanato i cittadini dalla politica, ma non ha raggiunto l'obbiettivo desiderato dai calunniatori di professione.
Nessuno però può trascurare il fatto che il partito di Silvio Berlusconi, il Pdl, è il primo partito in tutte le regioni italiane escluse Emilia-Romagna e Toscana. Il Pd perde il primato che deteneva fino allo scorso anno in Liguria, Marche, Umbria e Basilicata. Un risultato che apre uno scenario del tutto nuovo per le regionali del prossimo anno. Il Pd non è nemmeno il “partito appenninico” di cui aveva parlato Giulio Tremonti.
2. La Lega Nord conferma i suoi risultati e vede premiata la sua propaganda. Raggiunge il 10,2%, pari a 3,1 milioni di voti, contro l'8,3% pari a 3,0 milioni alle politiche 2008. La sua capacità di mobilitazione è indubbia, dimostra che il partito si muove all'unisono sui temi forti che sceglie, ma in nessuna regione, nemmeno in Veneto, sorpassa il Pdl.
3. Il Partito democratico passa dal 33,2% al al 26,1%. In termini assoluti vuol dire una diminuzione di quattro milioni di voti, da 12 milioni a 8 milioni. Un terzo degli elettori del Pd del 2008 ha cambiato opinione. Come si faccia a essere soddisfatti di questo Franceschini & C. dovrebbero spiegarlo. Anche perché il risultato delle liste di sinistra (6,5% , due milioni di voti) dimostrano che il Pd, a differenza del Pdl, ha concorrenti con cui non può allearsi e che non riesce a conquistare stabilmente ; nel 2008 la sinistra estrema e gli altri che oggi hanno concorso a formare le diverse liste di sinistra non Pd (come i socialisti) avevano raggiunto il 5,2% , pari a 1,9 milioni di voti, non molto meno di quanto hanno oggi.
4. Un discorso a parte meritano i radicali che raggiungono il 2,4%, 750mila voti, che rappresenta il consenso “storico” di Marco Pannella, a condizione che sia "solo contro tutti". Quando si allea, il contributo è meno della metà in percentuale. Il che rende arbitrario il tentativo del Pd di annettersi il risultato radicale. Quell'alleanza è probabilmente chiusa per sempre, anche se i radicali resteranno in parlamento nel gruppo del Pd.
5. Di Pietro. È il vero vincitore a sinistra in queste elezioni. Passa dal 4,4% (1,5 milioni di voti) del 2008, al 7,9% del 2009 (2,4 milioni di voti). Il Pd dovrebbe riflettere sul fatto che se si fa dell'antiberlusconismo dipietrista e antipolitico la sua bandiera – come ha fatto il Pd del dopo Veltroni – i voti vanno all'originale e non alla fotocopia.
6. L'Unione di centro passa dal 5,6% al 6,5% mantenendo gli stessi voti assoluti, circa due milioni. Per il partito di Casini valgono le stesse considerazioni che valgono per il partito di Bossi.
7. Gli altri. Nessuno dei partiti che non sono presenti nel Parlamento nazionale è riuscito a superare la soglia del 4% anche in questa occasione, nonostante tutte le varie combinazioni politico-elettorali tentate. Il sistema politico tende a stabilizzarsi intorno a cinque soggetti;i la progressiva marginalizzazione degli altri (unita alla progressiva diminuzione delle risorse economiche a loro disposizione) porterà il sistema italiano a essere più europeo, più bipolare e non più proporzionale.
Sulla base di questi dati si possono trarre alcune conclusioni:
a) il governo esce premiato, confermando i suoi risultati elettorali, un risultato unico in Europa;
b) il Partito democratico perde un terzo degli elettori e non ha margini di manovra politica: se si tiene Di Pietro non può tentare di allearsi con l'Udc; se cerca di agevolare la nascita di una forza alla sua sinistra, resta sotto l'ipoteca comunista; da quando è nato cala di peso invece di crescere;
c) il Popolo della libertà, all'opposto, può ragionare su un suo diverso assetto futuro; è nel Partito Popolare Europeo insieme all'Udc e la sua stretta alleanza con la Lega Nord può aprirsi alla prospettiva di una qualche forma federativa, sullo schema Cdu – Csu.
A questo punto, decidete voi chi ha vinto e chi ha perso.
Da il Predellino
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