lunedì 7 dicembre 2009



DIECI FEBBRAIO, GIORNATA DEL RICORDO.

Ci avviciniamo, non ci scordare


Grazie alla legge 92/2004 il 10 febbraio e’ la “ Giornata del ricordo” solennita’ civile per commemorare i martiri italiani delle foibe, e di tutti coloro che vennero uccisi dai soldati di Tito sul confine orientale, durante e dopo la seconda guerra mondiale, ma anche per ricordare il triste esodo dei 350.000 italiani sopravvissuti, i quali dovettero abbandonare le loro radici, per venire poi internati nei 109 campi profughi italiani e con il dolore nel cuore e lo sgomento nell’animo si sono sentiti anche appellare come “ Traditori” soprattutto da coloro , che allora , avevano messo le basi per quella bella democrazia che abbiamo ereditato!
In questi giorni il ricordo si fa più intenso anche per me, che sono nato alla fine degli anni 50 a Genova.
Si fa intenso il ricordo dei racconti dei miei nonni, di mia madre e delle mie zie.
Mia madre, ultrasettantenne, oggi e’ malata , ed il suo sguardo è perso nel vuoto, e quando la vado a trovare, ritrovo nei suoi occhi la stesso sguardo, smarrito ed impaurito, di quando mi raccontava, malvolentieri, la sua infanzia in Istria.
Sì, malvolentieri, in quanto mi diceva che le cose brutte non voleva ricordarle. Anche se io capivo che quei ricordi erano scolpiti nella sua memoria come neanche Michelangelo avrebbe saputo fare, Lei non voleva ricordare, perchè nessuno l’avrebbe ascoltata o forse, pensava, addirittura creduta.
Mia madre, nel 1944 , a soli 12 anni tutte le mattine appena si svegliava, si alzava con il cuore in gola e, senza fare colazione, correva dal paese di Moschiena fino a quello di Laurana , sono circa due km, si recava alla “Villa della morte” (cosi' era chiamata),dove era rinchiuso suo padre, in attesa della pena capitale, inflittagli perchè italiano, e per giunta segretario del comune di Moschiena.
Mia madre mi disse che, la mattina alle nove, mio nonno poteva affacciarsi 5 minuti a quella finestra e il giorno che non lo avesse più visto voleva dire che sarebbe morto. Mia madre , quando lo vedeva, tornava a casa contenta perchèquel giorno il suo papà era ancora vivo.
Fece quella vita per due interminabili mesi, fino a quando suo padre, per carità cristiana , trovò chi lo aiutò a fuggire dalla villa della morte.
Tornato a casa, prese mia madre Maddalena e la sorella maggiore Maria ( I nomi propri di persona fanno capire la profonda fede cristiana della popolazione Istriana) e fuggì immediatamente verso il confine, senza cibo e con qualche straccio di ricambio.
Mia nonna rimase a casa per non dare nell’occhio in paese, ma due giorni dopo prese la figlioletta Antonietta, di soli 3 anni e fuggì anche Lei verso Trieste con mezzi di fortuna, anzichè a piedi come mio nonno, in quanto si sentiva protetta dal suo cognome tipico del luogo, Randich.
Mia madre mi raccontò ancora che durante il tragitto, verso Basovizza, le si fermò davanti un camion carico di cadaveri, da dietro penzolava il corpo di una giovane donna con solo mezzo cranio, e dai lati del camion rivolava il sangue creando delle grandi pozze in terra.
Mia madre , ancora oggi , nonostante la malattia, quando vede un camion che trasporta ghiaia bagnata, e dai lati cola acqua, le viene in mente quell’orribile immagine e le par di sentire ancora l’odore dolciastro del sangue fresco.
Fortunatamente riuscirono a raggiungere Trieste sani e salvi, furono poi portati in un campo profughi a Parma e, mentre i figli dei nuovi italiani democratici andavano a scuola, mia madre, a 14 anni, cuciva portafogli in una conceria per 10 ore al giorno.
Ed a qualcuno sembra strano, che proprio il tempo passato al lavoro, con il giuoco e lo studio negati, siano i ricordi felici dell’adolescenza di mia madre.
Potrei raccontare ancora di quando mia nonna si tappava le orecchie per non ascoltare le grida di giovani ragazze italiane stuprate, torturate e poi infoibate , ( Sul libro Profughi di Gianni Oliva troverete innumerevoli orrende testimonianze), o di quando mia zia Maria fu testimone di un omicidio di un civile da parte di un “Titino” il quale tagliò l’orecchio della sua vittima , lo infilzò nella baionetta e inizio a saltellare intonando una canzoncina che era una sorta di ballo di sangue. Lo stesso, puntò la baionetta insanguinata , con l’orecchio infilzato dentro, al collo di mia zia dicendogli di stare zitta, e non dire nulla di ciò che aveva visto, altrimenti, lui sapeva di chi era figlia, ed avrebbe fatto la stessa cosa a suo padre. Fortuna che non la uccise, ma mia zia, per tutta la sua esistenza, fu molto tormentata da questo fatto, ed in età adulta dovette spesso far ricorso a cure psichiatriche.
Queste sono solo piccolissime testimonianze, di un orrore volutamente dimenticato, con la complicità delle istituzioni, dello stato e non ultima della scuola.
Io il 10 Febbraio indosserò un piccolo fiocco tricolore, per ricordare anche che i carnefici sono rimasti impuniti e protetti dalla comodità del silenzio.
Giulio Benvenuti
( figlio di esule Istriana.)

Nessun commento: