martedì 27 agosto 2013



Siria, Fidanza: UE fermi omicidio-suicidio dell'occidente

La strategia di Obama e dei suoi alleati mediorientali ed europei sta per creare ulteriori e incalcolabili danni, dopo il nefasto sostegno alle ‘primavere’ che hanno reso Egitto, Libia e Tunisia delle polveriere in cui imperversano gruppi fondamentalisti. Siamo di fronte a un tentativo di omicidio-suicidio da parte dell'Occidente.
L'omicidio di un governo come quello di Assad che da mesi cerca di arginare le milizie qaediste inopinatamente sostenute dalla propaganda occidentale; il suicidio di chi continua ad armare gli stessi carnefici che dichiara di voler combattere, spianando la strada alle fazioni più estreme del fondamentalismo islamico. Le argomentazioni e le modalità utilizzate dal premio Nobel ‘sulla fiducia’ Barack Obama ricordano molto da vicino quelle che il suo predecessore George W. Bush utilizzò contro Saddam Hussein: le stesse accuse mai dimostrate, gli stessi probabili esiti drammatici di un conflitto più lungo e sanguinoso del previsto e di un territorio tutt'altro che pacificato. L'Europa, che anche in questo caso balbetta, impedisca questa follia. Si esprima a favore di una soluzione politica, si schieri a difesa delle comunità cristiane massacrate dai cosiddetti ‘ribelli’ e della Siria che non vuole cedere al fondamentalismo».
È quanto dichiara Carlo Fidanza, eurodeputato di Fratelli d’Italia.



Giusto attaccare la Siria? Sarà ma qualcosa non torna…



Seguo con crescenti perplessità, l’escalation che sta portando l’Occidente – o perlomeno Stati Uniti e Gran Bretagna – verso l’intervento militare in Siria.
Il casus belli (le armi chimiche) è molto mediatico ma non del tutto convincente. Per quale ragione Assad avrebbe dovuto usare le armi chimiche, sapendo da tempo che Obama non le avrebbe tollerate? E’ come se un conducente lanciasse l’auto a 200 km h allora in una zona in cui il limite è 80, pur essendo stato informato della presenza di un autovelox e, dietro l’angolo, di un posto di blocco. Non ha senso.
La priorità assoluta di Assad è di evitare qualunque provocazione nei confronti degli Stati Uniti, essendo consapevole che solo un intervento dal cielo degli occidentali potrebbe costringerlo alla resa, come avvenuto con Gheddafi. E’ inverosimile che a Damasco siano tutti impazziti. D’altro canto, come ha ricordato a Rainews 24 un ottimo giornalista quale Alberto Negri, gli osservatori non hanno più la certezza che tutti i depositi di arllmi chimiche siano ancora nelle mani del regime. Dunque i ribelli i potrebbero controllare quantitativi di gas sufficienti per provocare la strage che sta indignando il mondo.
Quei ribelli che più di ogni altro hanno interesse a coinvolgere gli americani nella guerra civile. Vuoi vedere che… Il mio è solo un dubbio, ma plausibile se si considera che c’è un precedente, proprio in Siria, quando l’opinione pubblica internazionale attribuì la responsabilità di uno dei peggiori massacri di questa strana e sporchissima guerra a coloro che in realtà erano le vittime.
La seconda perplessità riguarda la tempistica. Chi segue la stampa specializzata sa che i generali americani sono contrari a un intervento, tanto più se affrettato. Certo, hanno preparato i piani di intervento e sono pronti; ma in queste ore sconsigliano Obama dall’andare avanti. Eppure non sembrano trovare ascolto.
Nelle ultime 72 ore gli spin doctor della Casa Bianca stanno facendo rullare i tamburi per preparare l’opinione pubblica a un intervento moralmente doveroso, giusto, solidale, alternando indiscrezioni allarmiste (raid entro 48 ore!) a rassicurazioni formali (nulla è deciso, decideremo con la comunità internazionale). Un copione già recitato in passato e di sicuro effetto. L’intervento o è già stato deciso o, comunque, è in cima all’agenda presidenziale.
E allora bisogna chiedersi che cosa spinga davvero Obama e i suoi consiglieri a ignorare la saggia ritrosia del Pentagono. Quali gli scopi reali? Perché questa urgenza? Quali le motivazioni strategiche, sono economiche o geopolitiche? O dobbiamo credere che il sempre più probabile attacco alla Siria serva (anche) a far dimenticare il tragico pasticcio egiziano?
(M.Foa- Il Giornale)



Se il Titanic Italia non cambia rotta

Decadenza è la parola giusta per indicare il fatale sfacelo verso cui sta andando da anni l'Italia


Decadenza è la parola giusta per indicare il fatale sfacelo verso cui sta andando da anni l'Italia. Lasciate fuori le valutazioni di parte e osservate il caso B.
con occhio alieno. Concitate discussioni, fiumi di scritti, trattative, leggi, leggine, un'infinita sequela di scazzi. Ma la nave procede verso il punto di naufragio con meticolosa precisione come se fosse scritto nella sua scatola nera lo scoglio esatto su cui si infrangerà. Tutto l'equipaggio, magistrati, politici, autorità portuali e vedette a mezzo stampa, la stanno portando da anni esattamente in quel punto, gridando a turno al disastro. Nessuno esce dal ruolo assegnatogli dal fato, nessuno spezza il giogo. Come in una tragedia greca, il destino è prescritto.
Lo Schettino Collettivo, cioè l'anima italiana desiderosa di esalare, punta diritto allo scoglio. Pure Letta che saggiamente ripete «noi andiamo avanti», procede verso l'urto fatale sbrigando le pratiche per il disastro. Agitatori, mediatori e noncuranti, nella loro dissonanza, producono insieme l'effetto-orchestra sul Titanic. A questo punto, dopo aver esperito l'impossibilità di salvare il salvabile e non volendo rassegnarci al si salvi chi può, proviamo l'osceno desiderio dell'Impatto. Andiamo verso l'apocalisse cantando. Non per godere la rovina dei filistei o la vendetta dei farisei. Ma perché dopo così lunga incubazione e mostruosa gravidanza non resta che toccare il punto zero. Che tutto crolli perché poi qualcosa di nuovo nasca. E se non siamo di quell'opinione, saremo comunque di quella sorte.

Non spingete l'Italia in un'altra guerra inutile

(A.Sallusti-Il Giornale)

Chiunque, per quanto cinico e indifferente, comprende la tragedia della Siria con i suoi morti ammazzati, i bambini orfani, le città devastate da perduranti violenze. E chiunque avverte l'esigenza di non rimanere inerte di fronte allo scempio.

Ma la domanda che bisogna porsi, e che merita una risposta lucida, è la seguente: cosa fare di concreto per aiutare un popolo dilaniato dalla guerra civile?
Gli Stati Uniti, sollecitati da più parti, meditano di intervenire militarmente. Anzi, hanno già deciso di mobilitarsi. L'Inghilterra, loro cugina inseparabile, pensa di fare altrettanto. Ed entrambi i Paesi, manco a dirlo, chiedono all'Europa di partecipare alla spedizione, a parole umanitaria. Si può fare? Tutto si può fare, ma conviene? E conviene a chi? L'Europa non ha una politica estera condivisa, ogni Stato membro pedala per conto proprio. La cancelliera Angela Merkel, anche se si considera una regina, rappresenta solo se stessa ed è troppo impegnata in campagna elettorale per assumere la leadership continentale.
Barack Obama ha ricevuto il Nobel per la pace senza aver fatto nulla per la pace, e ora crede di risolvere il problema siriano con le armi. Non gli è bastata l'esperienza dell'Irak? Anche noi (io personalmente) ci illudevamo che fosse esportabile la democrazia in Paesi che non sanno neppure che cosa essa sia. Oggi constatiamo che l'eredità di Saddam Hussein è stata gestita dai militari al peggio: la situazione a Bagdad è disastrosa e minaccia di ulteriormente degenerare.
Dodici anni di combattimenti in Afghanistan non hanno prodotto lo straccio di un regime accettabile. E abbiamo visto i risultati ottenuti in Libia: una guerra incomprensibile, chiamata di liberazione, che ha portato all'uccisione di Muammar Gheddafi, i cui successori si sono rivelati suoi epigoni, forse più crudeli di lui. Noi italiani siamo stati costretti, tirati per i capelli, a scendere in battaglia e abbiamo abbandonato sul campo contratti vantaggiosi dei quali si è appropriata la Francia. Bell'affare.
Abbiamo sparpagliato contingenti di nostri soldati in mezzo mondo, dal Libano al Kosovo fino alla Somalia, spendendo montagne di miliardi senza avere alcunché in cambio. Perdite, perdite, soltanto perdite. Di vite umane e di quattrini. E che dire dell'Egitto? Abbiamo ingenuamente salutato la deposizione di Hosni Mubarak come l'inizio della primavera araba. Abbiamo applaudito entusiasti ai rivoluzionari, convinti che grazie a loro il Medio Oriente sarebbe risorto, lasciandosi alle spalle una tradizione secolare di dispotismo sostenuto da pretesti religiosi. Abbiamo sbagliato tutto e non abbiamo capito nulla di quelle terre infernali dove esistono solo il petrolio e un fanatismo malvagio e feroce: terrorismo, teste tagliate, stragi.
Nonostante ciò continuiamo ad avere la presunzione di possedere la forza per educare certa gente alla democrazia, piegandola agli schemi occidentali, peraltro imperfetti, vecchi e stantii nonché bisognosi di profonde revisioni. Non ci vengano a chiedere, statunitensi e inglesi, di aderire a una grande alleanza per sconfiggere i cattivi che seminano odio e morte in Siria, quando non siamo in grado di identificare i cattivi separandoli dai buoni. Chi sono i buoni e chi sono i cattivi?
Inutile e dannoso tuffarsi in acque torbide sognando di ripulirle con la nostra presenza di infedeli, giudicati tali, perlomeno, da coloro che vorremmo soccorrere. Non abbiamo né i mezzi né la voglia di buttarci in un conflitto del quale vediamo gli effetti, ma ignoriamo le cause. Prima regola, non mettere il becco in casa d'altri. Seconda regola, certi contenziosi giova che siano i litiganti stessi a dirimerli secondo il loro stile. Una nostra ingerenza complicherebbe soltanto il raggiungimento di una pace, fra l'altro improbabile.


Violento nubifragio si abbatte su Ancona
allagamenti nella zona di Castelfidardo


ANCONA - Nubifragio su Ancona e l'hinterland del capoluogo. Da pochi minuti il cielo si è oscurato e, tra tuoni e fulmini, è iniziato a piovere in maniera violenta. Primi allagamenti a Castelfidardo, in via Jesina, vicino alla rotatoria Oasi. Si teme per la zona di Marcelli, sotto il livello del mare, ancora piena di turisti.
Martedì 27 Agosto 2013 - 16:37 (Il Messaggero)

Il golpe legale e quelle necessarie larghe intese contro la vecchia magistratura politicizzata


Perché pacificazione


Da Mani pulite in poi. Storia del patto scellerato (e inconfessabile) tra la politica, le procure e i giornali che i politici di oggi fingono ancora di non vedere


L’obbligatorietà dell’azione penale genera mostri; il più colossale, e vergognoso, dei quali – che ha, di fatto, trasformato la nostra Repubblica in una Repubblichetta delle banane nelle mani di caudilli in toga – è la distinzione, che una parte della magistratura fa, quando apre un fascicolo su qualcuno, fra “chi non sapeva”, che è ontologicamente non colpevole (innocente in se stesso), e chi “non poteva non sapere”, che è teoricamente colpevole (per deduzione accusatoria). E’ con la (legittima) autonomia e indipendenza di cui giustamente gode – ma anche, diciamolo, con discrezionalità e arbitrarietà spesso extra legem e contro ogni senso comune – di propendere per l’una o per l’altra delle due interpretazioni che essa tiene sotto permanente ricatto chiunque ed esercita il suo dominio sul paese. La politica, a sua volta, per viltà e quieto vivere, ha abdicato alle proprie funzioni.
D’altra parte, non saremmo il paese che siamo se la parte della magistratura politicamente radicale e impegnata non godesse di certe complicità fra gli stessi soggetti ricattabili. Diciamola, allora, tutta. Tangentopoli e Mani pulite non sono state (solo) l’auspicabile lavacro di un paese allora devastato dalla diffusa corruzione, ma (anche, e soprattutto), al riparo della legalità, un golpe, il sovvertimento di ogni ordine costituzionale, legale e politico razionale. Il “controllo di legalità”, che qualcuno, adesso, vorrebbe addirittura assegnare alla magistratura inquirente, è il modo col quale ogni regime illiberale tiene sotto il proprio tallone la propria popolazione e sovrintende ad ogni zona grigia nei comportamenti regolati dalla moralità individuale e da principi etici universalmente riconosciuti nei paesi di più matura democrazia liberale. Il controllo di legalità sarebbe l’ultimo passo verso il totalitarismo di un cammino già da tempo in corso.
Come ha scritto Guido Carli, un ex presidente della Confindustria (!), nelle sue memorie, il mondo degli affari aveva compensato l’ingresso dell’Italia nella Comunità europea, e l’apertura del suo mercato alla concorrenza esterna, con la complicità col mondo della politica e la diffusione della corruzione; di fatto, le tangenti avevano cancellato il mercato interno e ogni possibilità di corretta concorrenza. Con Tangentopoli e Mani pulite, la magistratura aveva cercato di fare piazza pulita del malcostume imperante ma – per le ambizioni politiche, o la vanità, di alcuni dei suoi stessi esponenti – ne era stata, a sua volta, coinvolta e politicamente inquinata. Non c’era alcun uomo d’affari che, per la natura stessa delle sue attività, non avesse qualcosa da nascondere al principio di legalità. Chiunque, perciò, avrebbe potuto finire nella rete di Mani pulite e potrebbe ancora cadere sotto la mannaia del “non poteva non sapere”. Dipendeva (dipende) unicamente dall’obbligatorietà dell’azione penale e dal conseguente incontrollato potere discrezionale, leggi arbitrarietà, di cui la magistratura disponeva e dispone. Né ne era esente alcun partito politico, come avrebbe detto Bettino Craxi in un memorabile discorso alla Camera nel 1993. Ma nessuno gli aveva dato retta; Dc e Pci avevano pensato di potersene tenere fuori e di guadagnarci persino in reputazione e voti; Craxi sarebbe morto in esilio, cui l’aveva condannato l’accusa, peraltro da lui stesso confessata in Parlamento (!), che “non poteva non sapere”; il Partito socialista, con tutti gli altri, era stato spazzato via a vantaggio di uno solo, il Pci, che avrebbe cambiato nome per la bisogna e per opportunismo, ma non avrebbe mai vinto le elezioni, né riflettuto su se stesso e la propria storia.
Nacque, così, tacitamente una sorta di pactum sceleris fra il mondo dell’informazione – di proprietà di quello degli affari non sempre esente da qualche peccato, piccolo o grande che fosse – e la parte della magistratura interessata a sovvertire gli equilibri politici esistenti e a portare al governo il Partito comunista che ne era rimasto fuori per i suoi rapporti con l’Unione sovietica dalla quale aveva ricevuto sostegno finanziario, peraltro senza che a nessun magistrato fosse mai venuto neppure in mente di aprire un relativo fascicolo sul caso. “Voi – dissero i media a magistrati ormai più interessati a cogliere e a mettere a frutto la portata sovvertitrice dell’alleanza che veniva loro proposta e ad accrescere il proprio potere che ad amministrare la giustizia – tenete fuori da Mani pulite i nostri editori e noi vi aiutiamo a mettere le mani, e a far fuori, i loro concorrenti e ad attribuire tutta la responsabilità della corruzione alla politica; fidatevi, sosterremo la vostra azione”. Fu ciò che puntualmente avvenne.
Dietro la parvenza di un’informazione “civile”, e legalitaria, si consumò la condanna dello stato di diritto, si realizzò la trasformazione dell’Italia in un paese nelle mani di una magistratura inquirente e di un sistema informativo che ignoravano l’Habeas corpus e istruivano processi e comminavano condanne sulle pagine dei giornali prima che a farlo fossero i tribunali. I giornalisti che si occupavano di vicende giudiziarie diventarono il megafono delle procure e, dalla santificazione di un uomo ambiguo come Antonio Di Pietro, acquistarono, a loro volta, un potere di pressione nei confronti dei loro stessi direttori. La cui permanenza al proprio posto, da quel momento, sarebbe dipesa dal grado del loro rispetto del pactum sceleris e dallo spazio dato a scandali e ruberie senza, però, che se ne spiegassero le ragioni intrinseche alla estensione dei poteri pubblici, come, in realtà, era. Spuntarono i direttori di professione, uomini d’ordine – che passavano, indipendentemente dalla loro linea politica, da una testata all’altra, come i questori passano da una città all’altra col compito di evitare disordini – per i quali la linea editoriale era quella fissata dal pactum sceleris.
Il giornalismo entrò in coma e, poco per volta, morì per carenza di pensiero; forse, per la natura dei rapporti di produzione capitalistici, direbbe Marx, non era mai stato libero e indipendente come qualche anima candida aveva preteso fosse; ma, almeno, fino a quel momento, aveva conservato una accettabile funzione informatrice e, in se stessa, liberatoria e una parvenza di dignità rispetto a quello dei paesi di socialismo reale. Di questo ha via via assunto la funzione, invece di darle, di nascondere ai lettori le informazioni e le idee non gradite al regime, mantenendoli in uno stato di permanente ignoranza e soggezione. Ad esso sta progressivamente assomigliando sempre più, senza che nessuno, né editori, né giornalisti mostri di accorgersene e di preoccuparsi. E, poi, si dice – senza aggiungere a quali, ad evitare anche solo di alludere al pactum sceleris – che gli italiani sarebbero incapaci di mantenere fede ai patti.
(P.Ostellino-Il Foglio)

sabato 17 agosto 2013



Un altro suicida, ma non era gay e non merita le prime pagine

suicidio-crisi-

Un muratore di 52 anni si è ucciso in una vallata del Piemonte. Non era gay, dunque nessuna prima pagina dei quotidiani. Non è stato ucciso da un’amante. Dunque nessuna informazione televisiva. Non era un immigrato in arrivo dalla Libia. Dunque nessuna solidarietà da ministri o presidente della Camera, nessuna preghiera del Papa. Ha lasciato un biglietto in cui ha spiegato che non ce la faceva più economicamente. Dunque da non far sapere in giro. Perché i media son tutti impegnati a raccontare che l’Europa è uscita dalla recessione, che tutto va bene purché il governo resti in carica.
Giorgio Napolitano assicura che aprire una crisi politica sarebbe fatale. Per il muratore piemontese è stato fatale questo governo, è stato fatale il governo di Monti e Fornero. D’altronde, mentre i politici del Pd spiegano che l’Imu deve essere pagata, chi non ha i soldi per pagarla si uccide. Nel disinteresse delle feste di partito, degli spin doctor che si occupano dei candidati da promuovere come fossero saponette o detersivi. Al muratore suicida non importava nulla delle rinunce del governo Alfetta ad un aereo tra la flotta di cui dispongono ministri e soci. Al muratore interessava un lavoro che consentisse di vivere. Ma il lavoro non c’è anche se gli analisti di servizio assicurano che la recessione è finita. Aggiungendo che, comunque, la disoccupazione aumenterà. E l’Imu non aiuterà certo i muratori, perché i costi delle tasse vengono sottratti non solo alla costruzione di nuovi edifici, ma anche alla manutenzione. Se i soldi non ci sono, i lavori si procrastinano. Ma Monti, il maggior responsabile del disastro, insiste che bisogna pagare. E se non si può pagare, si devono vendere gli immobili. Finendo in mezzo ad una strada, ma è Monti che ce lo chiede. I cartelli di vendita, appesi ovunque, portano ad una ridistribuzione del patrimonio immobiliare italiano. Nel silenzio assordante dei media. Perché a comprare, a prezzi di saldo, non sono i nuovi ricchi, i ceti emergenti, in una ridistribuzione sociale. No, a co
mprare sono le società degli speculatori. Sono quelli che i soldi ce li avevano già e che ora si possono arricchire speculando sulle difficoltà del ceto medio che si impoverisce. Sono loro i grandi sostenitori dei Monti, degli Alfetta.


 di Augusto Grandi © 2013 Qelsi 
(Giornalista di economia, politica, geopolitica, senior fellow del centro studi “Il Nodo...)


Il Comune di Roma non vuole più ricordare le foibe

 

Riccardo Ghezzi-QELSI

 

 La dichiarazione del vicesindaco di Roma Luigi Nieri avrebbe rischiato di passare in sordina, non fosse stata riportata dal Giornale d’Italia di Francesco Storace e condivisa sui social network. In un’intervista-spot rilasciata al Corriere, il vicesindaco ha dichiarato candidamente: “Roma è medaglia d’oro della Resistenza, ha subito il fascismo e il nazismo, la deportazione del Ghetto. È quella la nostra memoria. Altre città ricorderanno le foibe” rispondendo ad una precisa domanda del giornalista che gli chiedeva “Continuerete a riportare i ragazzi delle scuole alle foibe?”.
Il giornalista in questione si è ben guardato dall’incalzare Luigi Nieri, chiedendogli ad esempio se fosse il caso di concepire il ricordo delle foibe come qualcosa che strida con il fatto che Roma è città medaglia d’oro alla Resistenza. Una concezione anomala, che si può prestare a due interpretazioni: o chi ha fatto la Resistenza si deve vergognare delle foibe, oppure i martiri delle foibe erano tutti fascisti che non dovrebbero essere in alcun modo ricordati.
Nel primo caso saremmo di fronte a una tardiva quanto grave ammissione storica, su cui sarebbe opportuno fare riflessioni; nel secondo saremmo alle prese con un falso storico, che anche se non fosse tale sarebbe in ogni caso una presa di posizione a dir poco sciocca.
Luigi Nieri non dovrà spiegare nulla di tutto questo, perché il giornalista del Corriere ha preferito continuare nella marchetta e non osare fargli domande scomode.

 Tant’è che l’intervista è stata pubblicata con il titolo “Fori Imperiali aperti anche di notte. Ingresso gratis per i meno abbienti”, com’è giusto che sia: il lettore, in nome della trasparenza, deve essere consapevole del fatto che si stia imbattendo in uno spot, in una marchetta. Altrimenti a cosa servirebbero i finanziamenti all’editoria?
Nessun accenno, né nel titolo né nel sottotitolo, alla frase sulle foibe, che nei piani del Corriere avrebbe quindi dovuto cadere nel dimenticatoio.

Così non è stato. La dichiarazione, assurda, non è sfuggita né a Storace né ad alcuni esponenti romani di Fratelli d’Italia, che in una nota congiunta firmata dal capogruppo in Campidoglio Fabrizio Ghera e da Andrea De Priamo e Federico Mollicone hanno dichiarato:

La dichiarazione del vicesindaco Nieri con cui annuncia che Roma non farà i viaggi della memoria e non ricorderà le foibe è ignobile e deve essere smentita o seguita dal ritiro della delega da parte del sindaco Marino.
I tre esponenti di Fdi hanno poi evidenziato
Roma non solo accolse i profughi istriani, giuliano e dalmati in fuga dall’orrore, ma esiste anche una legge dello Stato, n. 92 del 2004, che dispone l’obbligo per le scuole e le istituzioni di onorare e far conoscere la tragedia italiana degli infoibati per decenni nascosta e mistificata dalla storiografia sinistra e di sinistra. L’amministrazione capitolina con l’assessore Marsilio integrò i viaggi della memoria per i Licei, oltre che per il doveroso ricordo della Shoah, per far conoscere i luoghi fisici del massacro. In più, abbiamo consegnato di recente le chiavi della Casa del Ricordo alle associazioni degli esuli, messo una targa al centro che accolse gli esuli nel Rione Esquilino e patrocinato le mostre organizzate al Vittoriano dalla Presidenza del Consiglio. Chiediamo che Nieri si scusi pubblicamente o che il sindaco Marino gli tolga la delega di vicesindaco. Roma non può tollerare uun simile oltraggio. Ignoranza storica o fanatismo? Sarà il sindaco Marino a chiarire. Forse. Per adesso è in ferie e si sta facendo sostituire dal vice-sindaco campione in gaffes.


cor

domenica 11 agosto 2013

Soldi e hashish sequestrati dai carabinieri



 

 

Vendeva kebab e hashish
Un arresto a Falconara



 
FALCONARA - I carabinieri della Tenenza di Falconara ieri sera hanno arrestato per spaccio di droga il tunisino D.J., 49 anni, tunisino, gestore di un noto kebab del centro. Da tempo il locale era nel mirino dei militari, che avevano individuato nell'esercizio commerciale un vero e proprio centro di smercio della droga.
Attraverso servizi di appostamento con l'utilizzo di attrezzature per filmare a distanza quanto avveniva nel skebab, infatti, i carabinieri in borghese hanno potuto riprendere un episodio di spaccio hashish ad opera dello steso gestore del kebab. A conclusione dell'intervento, oltre al sequestro di circa 400 euro provento dell'attività illecita, di vari cellulari e circa 30 grammi di hashish suddivisi in dosi e nascosti all'interno di un borsello posto sotto il secchio della spazzatura in cucina, si è proceduto anche a comunicare all'autorità amministrativa quanto accaduto ai fini della sospensione della licenza.

giovedì 1 agosto 2013







                           IN PIAZZA A DIFENDERE 

                         L'AUTOMEDICA