lunedì 15 febbraio 2010

da L'Occidentale

Il lucafobico

Il centrodestra resisterà all'ultima offensiva dei giudici?

Non sarà assolutamente vero, i casi della provincia di Vercelli non c’entreranno assolutamente niente con quel rubagalline di consigliere comunale milanese preso con le mani nel sacco (il che – prendere uno con le mani nel sacco – naturalmente è assolutamente necessario al di là dei dubbi che si possono avere sulla perfetta tempistica della procura di Milano), le fantatestimonianze di Ciancimino jr. non avranno niente a che vedere con le denuncia per tentata orgia di Guido Bertolaso, tutto l’improvviso rimasticare di inchieste giudiziarie sarà solo un caso, perfettamente determinato dalla sacra obbligatorietà dell’azione penale.

Certo, tutto sarà un caso. Ma a uno appena appena fantasioso sorge l’impressione di trovarsi di fronte a una specie di controffensiva delle Ardenne, cioè di quando le truppe naziste cercarono di sconfiggere quelle alleate appena sbarcate in Normandia. Naturalmente è solo una fantasia ma l’impressione che uno sprovveduto come me si fa è che appena si è iniziato a parlare sul serio di separazione delle carriere, si è anche incominciato a incendiare le praterie. Il vecchio Pietro Nenni diceva che l’argomento dei dc nella discussione in Costituente sulla fissazione nella Carta della separazione tra giudici e inquirenti (la soluzione civile prevalente in più o meno tutto l’Occidente liberale) era: se proponiamo una cosa simile, se ci mettiamo in testa di separare le carriere, ci arrestano tutti.

Mentre questo mi sembra il clima generale, mentre ci si appresta a verificare quale è la forza della controffensiva antiriformista e la consistenza dei generali Patton del centrodestra, tocca anche constatare come siano tempi brutti per noi lucafobici. Nell’ultima settimana non solo si è misurata per intero l’inconsistenza di Luca Cordero di Montezemolo, il quale aveva garantito a Sergio Marchionne che avrebbe tenuto buono Claudio Scajola (e viceversa aveva garantito a Scajola concessioni più ampie da parte dell’amministratore delegato della Fiat), non solo le cose non sono andate così, ma è più in generale il mondo Fiat che sembra destinato a contare sempre di più a Detroit e meno a Torino: così in Banca Intesa San Paolo, così addirittura nella Compagnia San Paolo, insomma persino nel cortiletto di casa.

E dunque che cosa succederà al montezemolismo? Per ora si sta riducendo a battaglie di retroguardia, cerca di mandare Luigi Abete a fare il presidente della Luiss (ma ci andrà Emma Marcegaglia), ha mantenuto a un abetiano (Aurelio Regina) la presidenza degli industriali di Roma, ha cercato di spingere un montezemolista doc, Giovanni Lettieri, alla presidenza della Campania. Diego Della Valle, che del “club” è quello con più personalità, cerca sempre più di giocarsela da solo. In Viale dell’Astronomia dicono di guardare con più attenzione alle confrontation tra marcegagliani e grandi imprese statali (Eni, Enel, Finmeccanica) che a quelle con gli ultimi mohicani montezemoliani. In questa stagione le sponde nei media al montezemolismo, tipo Gianni Riotta, cercano riparo in un sapiente Corrado Passera, ritiratosi tempestivamente dalle sfide più audaci e tutto teso a trovare un equilibrio al riparo di un berlusconismo “inevitabile” nel medio periodo. Questo pare il segno prevalente per cui le lotte spesso assai aspre per definire nuovi assetti nel potere economico italiano (da Telecom Italia a Banca Intesa San Paolo alle Generali) avvengono tutte prescindendo ormai da quei tentativi di sovvertimento del quadro politico che non sono mancati nell’ultimo anno. Spesso accompagnati dagli svolazzamenti montezemolisti.

Così a occhio la situazione dovrebbe indirizzarsi in questa direzione, a meno che “l’offensiva delle Ardenne” di questi giorni non riesca a modificare alcuni rapporti di forza di fondo del quadro politico nazionale. Questo lo si vedrà nel giro di qualche settimana. Così, sempre, a occhio le ultime raffiche delle toghe militanti non appaiono destinate a successi clamorosi.

Il contesto internazionale (dalla tensioni tra Pechino a Washington agli show down con Teheran, alle incomprensioni/incontri tra la coppia Sarkozy-Merkel e Obama, che cercano in Draghi e Tremonti dei punti di mediazione, alle fragilità di Zapatero e Brown, alle code della crisi greca) tende a fare dell’Italia un prezioso elemento di stabilizzazione che a parte gli ayatollah non si vede chi possa avere voglia e interesse a far saltare. In campo nazionale le stesse liti tra Di Pietro e De Magistris mostrano quanto sia lontana la sinistra da presentarsi come elemento su cui poggiare non si dice per un’alternativa ma anche solo per effettuare manovre di consistente disturbo. La fase complessiva è senza dubbio di movimento, le condizioni globali e interne possono cambiare molto rapidamente. Ma così come stanno le cose, la nuova controffensiva delle Ardenne è destinata a finire come l’antica.

L.Festa

1 commento:

Anonimo ha detto...

MOLTO INTERSESSANTE QUESTO PEZZO