Da "Il legno storto"
Macelleria fiscale
Il governo ha completamente perso il controllo della legge di stabilità, conservando a sé l’arma della vendetta contabile. Non si tratta di riconoscere il ruolo del Parlamento, come qualche ministro graziosamente fece, al momento della presentazione, perché quello è scolpito nella Costituzione (questa sconosciuta). Si tratta, semmai, di stabilire se il governo ha una qualche politica che non sia il mero ricondursi al rispetto dei saldi, perché in questo caso, come sta avvenendo, l’interlocutore del Parlamento diviene la Ragioneria generale dello Stato. E buona notte alla funzione governativa.
La cosa singolare è che nel mentre i (presunti)
protagonisti della politica si dividono fra chi vorrebbe governare in
proprio (salvo non dire come e per far cosa) e chi vorrebbe lasciare le
cose in mano a Mario Monti, pur riconoscendoti quasi tutti
nell’“agenda Monti”, proprio quest’ultima si svuota al punto da
consentire che la legge di stabilità venga stravolta e capovolta,
nell’indifferenza collettiva. Dagli sgravi fiscali agli orari scolastici
agli esodati, non c’è materia rilevante in cui il governo abbia tenuto
ferme le proprie posizioni. Sarebbe questo il ragguardevole costume
cui ispirare il futuro? E, si badi, questa non è una critica al
governo, perché la sua “colpa” è quella di durare troppo, ben oltre il
pronto soccorso che si rese necessario un anno addietro, quindi di
scomporsi per il venire meno della missione iniziale, mentre restano
intatti i problemi di fondo. La critica è rivolta alle forze politiche
maggiori, incapaci di capire quel che era evidentissimo nel novembre
scorso e che fin da allora scrivemmo: tocca loro cambiare il sistema
elettorale e condurre l’Italia al voto. In fretta. Invece sono ferme,
ripiegate nelle loro miserie interne, nel mentre s’approssima la fine
naturale, e ingloriosa, della legislatura.
La
critica che muovo al governo è altra: assistendo all’implosione della
politica, incapace di riforme profonde (l’unica, quella delle pensioni,
si trascina dietro un imperdonabile errore tecnico, che ha generato gli
esodati), il governo si abbandona alla vendetta contabile, accanendosi
nel far crescere le entrate nel mentre non riesce a tagliare
significativamente le uscite. Per evitare si dica che fa “macelleria
sociale” si abbandona alla “macelleria fiscale”. Senza neanche evitare
la prima, oltre tutto, ma praticandola nella sua versione più odiosa,
ovvero con la “macelleria generazionale”.
Monti
annette a sé e al suo governo la guerra (così l’ha chiamata), contro la
corruzione e l’evasione fiscale. Guerre sante. Gliecché la storia ci
consegna non pochi esempi di guerre benedette tradottesi in carneficine
sadiche e senza tensione alcuna verso il sacro. Dire che la guerra
contro la corruzione si conduce con la nuova legge, ancora in
gestazione, non è propaganda, è fanfaroneria allo stato puro. Quella
legge sarà approvata, statene certi, ma siate altrettanto sicuri che non
servirà a nulla. Mentre la lotta all’evasione, nei fatti, si traduce
nel far pagare più tasse a quelli che le pagavano, con effetti recessivi
evidentissimi, talché la ripresa prevista per l’anno prossimo si
sposta, come tempestivamente sottolineammo, in un imprecisato futuro.
E
quando Monti dice che la ripresa ci sarà nel momento in cui cesserà la
crisi dell’euro dice una di quelle cose utili a dimostrare che siamo
senza timone e senza motori: stiamo andando a rimorchio. Solo che dal
rimorchiatore hanno deciso di mettere le mani nella cambusa e portare
via gli arredi, sicché, alla lunga, somigliano più a pirati che a
salvatori.
La follia autodistruttiva del nostro
dibattito politico sta proprio nel credere che questa sia una politica,
semmai discutendo se continuarla a cura degli ideatori o a cura dei
gestori partitanti. Invece questa è una non politica. E’ l’altra faccia
di una medaglia che da una parte reca il ritratto di Beppe Grillo. E’
il frutto del crollo, non un modo per evitarlo. E se le forze politiche
non vogliono suicidarsi devono imparare a fare in modo che cambino le
cose, non il loro o il proprio nome. Giacché, com’è noto: ca tu ‘o
chiamme Cicco o ‘Ntuono/ ca tu ‘o chiamme Peppe o Giro/ chillo ‘o fatto
e niro niro,/ nino niro comm’a che.
Nessun commento:
Posta un commento