lunedì 14 marzo 2016


Bagnasco: «I bambini non sono cose da produrre»



La prolusione del cardinale presidente al Consiglio 

della Cei: «Certi cosiddetti 

diritti risultano essere solo per i ricchi alle spalle dei


 delle donne e dei loro corpi»



Articolo tratto dall’Osservatore romano – È dedicata 

alla situazione dei cristiani in Medio oriente, 


all’accoglienza dei profughi, alla difesa della famiglia

 e del suo ruolo insostituibile, alla formazione del 


clero, la prolusione con la quale il cardinale Angelo 

Bagnasco, presidente della Conferenza episcopale 

italiana (Cei), ha aperto oggi a Genova i lavori del 

Consiglio permanente, che si concludono mercoledì.

Il porporato in primo luogo ha fatto cenno allo storico

 incontro avvenuto a Cuba fra Papa Francesco e il 


Patriarca di Mosca Cirillo, al termine del quale è stata

 dichiarazione comune nella quale soprattutto si è 

espressa preoccupazione e comune sollecitudine nei 


confronti dei tanti cristiani perseguitati. Molti di loro

 hanno lasciato le loro case per trovare rifugio in 

Europa. E molti sono morti nel tentativo, compresi 

330 bambini solo nel mare Egeo: «Che spettacolo dà

 di sé l’Europa?», si è chiesto il porporato, invitando a


 confrontarsi «con i volti sfatti e terrorizzati dei 

bambini e dei vecchi». «Può l’Europa, culla di civiltà e

 diritti — ha continuato — erigere muri e scavare 

fossati?». Di certo, ha sottolineato il presidente della

 Cei, non l’ha fatto l’Italia, che «ha mostrato da subito

 generosità e prontezza», anche attraverso l’opera di 

molte realtà cattoliche. E anche ai sacerdoti il 

cardinale ha espresso gratitudine per la loro vicinanza

 alla comunità, mentre ci si prepara all’assemblea di

 maggio che, ha annunciato, sarà aperta dal Papa e

sarà dedicata alla vita e alla formazione permanente 

del clero.

Nel suo insieme, ha rilevato il cardinale, sembra che il 
Paese «stia reagendo alla crisi, ma il cammino si 

presenta faticoso. La gente è ammirevole, continua a 

rivelare una grande capacità di resistere e lottare, di 

non perdere la fiducia, di unire le forze. La famiglia, 

poi, ancora una volta dà prova di essere il perno della 

rete sociale, luogo in cui si condividono le risorse e si 

genera fiducia e coraggio per andare avanti. Essa è 

veramente il più grande capitale di impresa e di 

solidarietà, un tesoro da non indebolire e disperdere 

con omologazioni infondate, trattando nello stesso 

modo realtà diverse». Perché «da una parte si 

rivendicano le differenze sul piano culturale e,

 dall’altra, le si negano sul piano normativo, creando 

di fatto delle situazioni paramatrimoniali». Del resto, 

«la deriva individualista, radicale e liberista, non 


intende fermarsi: mentre riaffermiamo con tantissima

 gente che avere dei figli è un desiderio bello e 

legittimo, così è diritto dei bambini non diventare 

oggetto di diritto per nessuno, poiché non sono cose 

da produrre. Tanto più che certi cosiddetti diritti 

risultano essere solo per i ricchi alle spalle dei più 

poveri, specialmente delle donne e dei loro corpi. 

Così, fa parte di un umanesimo umano il fatto che 

l’amore non giustifica tutto, che i bambini hanno

 diritto a un padre e una madre, come anche 

recentemente il Tribunale dell’Aia ha affermato. A 

questo riguardo, è necessario semplificare e 

accelerare le procedure di adozione, perché possano 

avere risposta le migliaia di richieste a fronte di 

alcune centinaia di bambini dichiarati “adottabili”».

E fa parte dell’umanesimo, ha aggiunto il cardinale, 

«pure la constatazione che la vita nessuno se la può 

dare e quindi togliere; che mai, in nessuna sua fase, 

può essere manipolata e distrutta»; che 

«l’accanimento terapeutico è una cosa, mentre 


l’eutanasia e il suicidio assistito sono tutt’altro».

I recenti, raccapriccianti fatti di cronaca, infine, fanno

 emergere «un inquietante, assoluto vuoto interiore, 

una disperata noia di vivere che esige un insaziabile 

bisogno di sensazioni forti, per cui la tortura e il 

delitto sono pensati, voluti e vissuti per se stessi». È 

inevitabile, dunque, ripensare anche all’educazione, 

di cui attori fondamentali sono anche le molte scuole 

perché, «se è certamente necessario chiedersi quale

mondo lasceremo ai nostri giovani», è «altrettanto 

urgente chiederci quali uomini lasceremo al nostro

 mondo».

http://www.tempi.it/

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