sabato 18 luglio 2009

Revisionismo alla Casa Bianca
Obama riscrive la storia della Guerra Fredda (ma non solo)



Rivolgendosi a un gruppo di studenti, il nostro presidente si è espresso così : "l'Esercito americano e quello russo erano ancora ammassati in Europa, addestrati e pronti a combattere. Le trincee ideologiche dell’ultimo secolo erano ancora più o meno presenti. La competizione in ogni campo, dall'astrofisica all'atletica veniva trattata come un gioco a somma-zero. Se qualcuno vinceva, allora qualcun'altro doveva necessariamente perdere. E poi nel giro di pochi anni, il mondo ha smesso di essere così. Non cadiamo in errore: questo cambiamento non è certo scaturito da una nazione sola. La Guerra Fredda è giunta al termine attraverso le azioni di più stati nel corso di diversi anni, e grazie al fatto che la gente in Russia e in Europa Orientale si è sollevata proprio contro quella guerra e ha deciso che si sarebbe dovuta concludere in modo pacifico.”
La verità, ovviamente, è che i sovietici erano alla guida di un regime autoritario e brutale. Il KGB uccideva i suoi oppositori o li trascinava nei Gulag. Non esisteva libertà di stampa, né d’espressione, né di credo, né libertà di alcun genere. Ciò che stava alla base della Guerra Fredda non era “la competizione nell’astrofisica e nell’atletica”. Si trattava piuttosto di una battaglia globale tra la tirannia e la libertà. La “sfera d’influenza” sovietica era definita dall’innalzamento di muri e di barriere di filo spinato e da carri armati e agenti segreti con il solo obiettivo di impedire alla gente di scappare. Durante la Guerra Fredda, l’America era una forza senza pari al servizio del bene nel mondo. Cosa che non si può certo dire dei sovietici. La Guerra Fredda è finita non perché i sovietici abbiano deciso che fosse la scelta giusta, ma piuttosto perché non si sono dimostrati in grado di fronteggiare le forze della libertà e l’impegno profuso dalle nazioni libere nella difesa dei propri valori e nella lotta al comunismo.
E’ quindi un comportamento irresponsabile da parte di un presidente americano andare a Mosca e, parlando in una stanza piena di giovani studenti russi, non dire tutta la verità riguardo al modo in cui si è conclusa la Guerra Fredda. Qualcuno potrebbe chiedersi se si sia trattato solamente di un tentativo di premere il pulsante “reset” – o forse di guadagnarsi favori. O magari, ed è un’ipotesi più preoccupante di qualsiasi altra, semplicemente Obama credeva in quello che diceva.
Che premere il “reset button” in giro per il mondo sia diventato il metodo di Obama diviene sempre più chiaro ad ogni sua nuova visita all’estero. Il presidente continua a proclamare l’uguaglianza morale tra gli Stati Uniti e i loro avversari, accetta prontamente false ricostruzioni storiche e si rifiuta di reagire per smentire tutte le menzogne anti-americane.
Il suo approccio è stato evidente nel discorso tenuto a Mosca e in quello al Cairo lo scorso mese. Qui, il presidente ha sostenuto che ci fosse una sorta di equivalenza tra il sostegno americano al colpo di stato del 1953 in Iran ed il male che i mullah iraniani hanno inflitto al mondo a partire dal 1979. In una precedente visita a Città del Messico, Obama ha ascoltato una lunga invettiva anti-americana da parte del presidente del Nicaragua Daniel Ortega e non ha controbattuto a tutte le bugie pronunciate, limitandosi a rispondere con un “sono contento che il Presidente Ortega non mi ritenga responsabile per episodi accaduti quando io avevo solo tre mesi”.
Durante il meeting della NATO dello scorso aprile in Francia, alla domanda su quale fosse il suo pensiero sulla “eccezionalità” americana, il presidente ha risposto: “Io credo nella “eccezionalità” dell’America proprio nel modo in cui ho il sospetto che gli inglesi credano nella “eccezionalità” dell’Inghilterra e i greci in quella della Grecia.” In altre parole, quindi, non così tanto.
L’amministrazione Obama sembra credere in un altro tipo di “eccezionalità” – la “eccezionalità” di Obama. “Noi abbiamo il miglior brand sulla Terra: il brand di Obama”, ha affermato uno degli assistenti del presidente. Quello che costoro non sembrano riuscire a comprendere è che una volta che si diventa presidente, il proprio brand diventa l’America, e la gente americana si aspetta di essere difesa contro le menzogne, non di vedere che queste vengono avallate o ignorate. Quello che ci aspettiamo, inoltre, è che il nostro presidente conosca la nostra storia.
Barack Obama è ormai solito affermare, come ha fatto di nuovo la scorsa settimana in Russia, che il disarmo nucleare da parte dell’America incoraggerà la Corea del Nord e l’Iran a rinunciare alle proprie ambizioni nucleari. Ma può realmente credere che quei due paesi prima di bloccare i loro programmi nucleari stiano semplicemente aspettando che l’America tagli i fondi per la difesa missilistica e riduca le proprie riserve strategiche nucleari?
La Casa Bianca dovrebbe imparare la lezione del Presidente Harry Truman. Nell’aprile del 1950 Truman firmò il report 68 del Consiglio di Sicurezza Nazionale (NSC-68). Tale documento, che rimane tra quelli fondamentali nella strategia americana della Guerra Fredda, spiega il pericolo insito nel disarmare l’America nella speranza di placare i nostri nemici. “Nessuno mai nella storia”, si legge nel report, “è riuscito a preservare la propria libertà pensando che rinunciando alle forze necessarie a proteggere se stessi, si potesse dimostrare ai propri nemici di essere inoffensivi".
Forse Obama pensa di far in modo che l’America non si mostri più come una minaccia agli occhi dei nostri nemici. In realtà, sta solamente rendendo più forti loro e più deboli noi. L’America può essere letteralmente disarmata - attraverso tagli al nostro sistema di armi e alle nostre capacità difensive - come Obama ha accettato di fare. E possiamo essere disarmati anche moralmente da un presidente che diffonde false notizie sulla nostra storia o che accetta, anche solo attraverso il suo silenzio, le menzogne raccontate su di noi proprio da quegli stessi nemici.

© The Wall Street Journal

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