lunedì 31 agosto 2009


Pubblic0 ampi stralci dell'intervento che il ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, ha tenuto a Rimini, in occasione del Meeting di Comunione e Liberazione, venerdì 28 agosto, durante un incontro dal titolo:


«Oltre la crisi»


Cercherò di dire come vedo la crisi dopo un anno e mezzo di governo. Quando si è al governo in un tempo come questo, bisogna tenere conto che vi sono tre fattori-limite, tre fattori-vincolo fondamentali.
Primo: La dimensione globale della crisi. La crisi è causata dalla globalizzazione ed ha per questo una configurazione non usuale, nuova. Negli anni '70, per esempio, abbiamo avuto una crisi che ha avuto certamente anche un innesco internazionale, ma poi molti fattori per cui l'economia italiana si «piantò» erano dovuti a fatti interni (eccesso di conflitto di classe, squilibrio tra domanda e offerta, eccesso di inflazione e di tensioni). Qui noi abbiamo per la prima volta una crisi che viene da fuori. E per questo, avendo queste dominanti esterne, è difficile da gestire.
Paradossalmente l'Italia è stata colpita dalla crisi non su un punto di debolezza, ma su un punto di forza. Per tanti anni ci è stato detto che l'Italia era in declino, che l'Italia perdeva quote di commercio mondiale. E' esattamente l'opposto. L'Italia ha guadagnato in progressione impressionante quote di commercio mondiale, ha accumulato ancora fino all'autunno dell'anno scorso un surplus commerciale molto elevato. Su un punto di forza è stata colpita: siamo una economia che esporta, se cade la domanda globale, cade l'exportdell'Italia. E' successo per tutte le economie manifatturiere esportatrici (non dobbiamo dimenticare che l'Italia è la seconda manifattura d'Europa: dopo la Germania viene l'Italia, naturalmente con una struttura diversa da quella tedesca o francese - una struttura che è articolata su alcune, poche grandi imprese, molte medie, sui distretti, sull'indotto, su quattro milioni di partite IVA attive). Dunque, se sei una manifattura che esporta, se cade la domanda mondiale, sei colpito su un fattore che è di forza e non di debolezza. Ma se cade la domanda mondiale, è difficile compensarla con la domanda locale, con altre forme di domanda.
Secondo: se si è al governo in questa fase, si è sotto lo stress della crisi, e occorre capire che cosa è successo, e gestire gli effetti di quello che sta succedendo. Poi vi dirò anche delle riforme, ma se c'è un lavoratore che perde il posto di lavoro oggi, è più importante pagargli la cassa integrazione o disegnare gli ammortizzatori sociali? Se voi vedete un anziano nella sofferenza, che cosa fate: cercate di mantenere per quanto possibile le prestazioni sociali attuali o gli dite che il futuro è nella concorrenza? Io tra la concorrenza e la sofferenza - certo, diranno che non sono sufficientemente liberista! - penso che sia importante anche andare incontro alla sofferenza. Si mangia giorno per giorno, non «nel lungo periodo».
Lo stress della crisi: se sei fuori puoi anche disegnare il futuro, se sei dentro devi gestire il presente, e questo occupa il tempo, la mente, lo spirito di chi è al governo in tutto il mondo in questo periodo.
Terzo: le particolarità di ogni paese. Ci sono paesi che hanno l'impero e ci sono paesi che hanno il debito pubblico. Io non so se sia una fortuna avere un impero, io so che noi abbiamo il terzo debito pubblico del mondo senza essere la terza economia del mondo. Un dato: noi dobbiamo emettere ogni anno titoli pubblici per 500 miliardi di euro: ciò significa che devi avere una domanda, una richiesta, una fiducia per cifre di questo tipo.
Noi abbiamo gestito la crisi sapendo che la crisi sarebbe arrivata; ci siamo presentati in campagna elettorale parlando di una crisi che arrivava e che si sarebbe aggravata. Questo lo abbiamo scritto nei nostri interventi e documenti politici e pubblici. A giugno e luglio 2008 abbiamo stabilizzato in una logica triennale le nostre Finanziarie. Pensate che cosa avrebbe voluto dire trovarsi nella tempesta di autunno della crisi con i saldi di finanza pubblica aperti!
Sapevamo che sarebbe venuta la crisi. Naturalmente ci sono i polemisti che dicono: «Non hai detto in che giorno veniva, per che importo, da che parte». Confesso che non avevamo chiaro in che giorno sarebbe crollata la Lehman Brothers, forse se si fosse chiamata Lehman Sister sarebbe stato meglio, perché le donne sono meno avide. Sapevamo che sarebbe venuta la crisi, ma in quel momento avevamo davanti la speculazione, e abbiamo colpito la speculazione. Non rinnego la scelta di introdurre un'imposta sui profitti di regime della speculazione, sugli extra profitti fatti dalle banche sui mutui, e dalle assicurazioni. Allora ci avevano detto: «L'inflazione che state programmando e pensando in luglio è troppo bassa». Per la prima volta nella storia l'inflazione programmata è stata maggiore dell'inflazione verificata. Oggi siamo a zero. Io non so se sia giusto o sbagliato avere l'inflazione a zero; so che nel luglio dell'anno scorso avevamo visto abbastanza giusto.
Abbiamo cercato di consolidare i conti pubblici. Quando uno dice: «Devi fare più spesa pubblica», io ho sempre presente il fatto che tra il dire e il fare c'è di mezzo il mare. E' facile dire: «Fai deficit», è un po' più difficile fare le aste dei titoli pubblici. E quando hai la responsabilità del terzo debito pubblico del mondo, fai bene se ti dicono che la politica della Repubblica italiana è stata coerente perché prudente ed appropriata con la dimensione del suo debito pubblico. Quando uno dice: «Fai più spesa pubblica, fai più deficit», in teoria ha ragione, ma non ha ragione per il nostro paese. Tu sai che spendi di più e non sai a beneficio di chi va, ma sai a maleficio di chi va: sono più tasse per la povera gente.
Abbiamo cercato la tenuta del sistema sociale. La sanità, le pensioni, la sicurezza, sono un po' come l'aria: ti accorgi di quanto è importante quando ti manca. In un periodo eccezionale, garantire la tenuta normale dello Stato sociale è stato un risultato eccezionale. A un anno dalla crisi noi possiamo dire che l'Italia è ancora un paese socialmente unito e pacificato. E questo dipende da tante cose. E' la geografia che fa la politica: avere 8 mila Comuni e non metropoli circondate da anelli infernali con periferie in rivolta aiuta. Abbiamo l'Inps, ma abbiamo anche la famiglia. E la famiglia come pilastro di tenuta sociale è fondamentale come quello pubblico. Abbiamo messo tutte le risorse che avevamo sugli ammortizzatori sociali, ed è stata una scelta fondamentale. Perché nessuno può essere lasciato indietro. Abbiamo cercato di lasciare aperto il canale di finanziamento alle imprese. Abbiamo sbloccato molti dei pagamenti pubblici che erano in sospeso.
Questa è la strategia che abbiamo cercato di seguire. Ma abbiamo aperto, accanto a questa strategia conservativa - in crisi conservare è fondamentale e non è facile - abbiamo aperto il cantiere delle riforme. Dal nucleare alla riforma della scuola elementare e secondaria, dall'adeguamento anagrafico dell'età di pensione alla pubblica amministrazione. Ma la riforma delle riforme per questo paese è, pur con tutte le necessarie cautele e gli equilibri costituzionali, è quella che prende il nome di «federalismo fiscale». L'Italia è l'unico grande paese d'Europa che ha metà dell'azione pubblica fuori dal principio costituzionale fondamentale «no taxation without representation». Metà del governo è sotto questo vincolo, metà del governo (Regioni, Province, Comuni) è fuori, anzi è all'opposto: più spendi, più voti e consenso prendi. Più sei irresponsabile, e più hai la prospettiva, la speranza di avere i voti. Il federalismo, se fatto bene, con equilibrio, è moralità, responsabilità. Inoltre il federalismo è uno dei modi per ridurre l'evasione fiscale. Molte altre riforme abbiamo in cantiere, come quella dei governi locali...
Esiste una certa differenza tra il pensiero e l'azione. E' facile fare l'elenco delle riforme possibili, ma fare le riforme è difficile. C'è una certa differenza tra le riforme a tavolino e le riforme concrete. Sono andato a rileggere l'episodio di Rousseau e di Caterina II, che fa data al 1771. Rousseau, che era un illuminista, aveva la mania delle Costituzioni ideali, che erano le riforme di allora. Fece la Costituzione per Ginevra, per la Corsica e poi mandò, nella forma delle considerazioni sul governo della Polonia, il suo schema a Caterina II. Caterina, che pure era rispettosa degli illuministi, gli rispose: «Vede, lei scrive sulla carta di pecora (una carta raffinata). Quel tipo di carta sopporta qualsiasi puntura e tensione. Io scrivo sulla pelle della gente».
Ma c'è un'attività che non è nelle riforme, ma che forse è più rilevante ancora. E' stato molto importante l'avviso comune fatto tra le imprese e le banche per una moratoria sul credito. E' l'idea sabbatica della terra che almeno per un anno deve respirare, nell'interesse di tutti. La crisi ci porta dunque a pensare una cosa che non sta troppo sui giornali o sui media, ma sta nella coscienza che tutti abbiamo: non c'è più il conflitto di classe, non c'è più l'opposizione tra il capitale e il lavoro, c'è il senso crescente dell'interesse comune, c'è il senso crescente di una koiné, di una comunanza tra lavoratori ed imprenditori. C'è l'idea che siamo un po' tutti sulla stessa barca.
La notizia più bella di quest'estate è una notizia che è subito scomparsa. E' la notizia della fabbrica di Milano, e se fossimo in America faremmo subito un film di Hollywood. E' la storia della fabbrica con gli operai che prima difendono e protestano e poi vanno sulla gru, e ci stanno molti giorni. E lo fanno, questo tipo di protesta, senza fare violenza agli altri, non bloccando servizi pubblici, ma con l'immagine di operai anziani che vogliono difendere la loro fabbrica. E poi l'aiuto delle istituzioni. E poi l'arrivo dell'imprenditore, che non è andato dal governo a chiedere i soldi, ma che ha messo i suoi soldi e ha portato avanti un'industria. Questa della fabbrica, della manifattura, degli operai che vogliono il loro lavoro, che vanno sulla gru, è la notizia più bella dell'estate. Io credo che sia interesse di tutti un avviso comune tra imprenditori e lavoratori, nell'idea dell'economia sociale di mercato, della democrazia economica. E' un dovere del governo cominciare a riflettere sull'idea di favorire la compartecipazione - non la cogestione - agli utili dei lavoratori. Credo che questo sia quello che dobbiamo come risposta alla crisi e come responsabilità comune tra, imprenditori, lavoratori e governo. Se ci fossero le condizioni per un avviso comune che favorisca la compartecipazione all'utile delle imprese, in modo da concretizzare lo stare insieme dentro la stessa fabbrica, dentro la stessa impresa, più di prima uniti, dei lavoratori e degli imprenditori, credo che questo sarebbe uno dei modi per uscire dalla crisi.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Tremonti è molto chiaro:spiega benissimo le cose anche ai non addetti ai lavori

A.P. ha detto...

Ottima lezione di Economia.