venerdì 4 settembre 2009

Obama e la sua banda di evasori fiscali, truffatori e compagni di merende


l'occidentale

Michell Malkin è una tipa decisamente tosta. Il suo nuovo libro, Culture of Corruption, in testa alle classifiche di vendita americane, è un pugno nella stomaco di quelli davvero difficili da incassare. Per tutti. Per quegli ingenui che davvero credono possa crescere un fiore nel cemento della politica americana e per i non addetti ai lavori che anche qui in Italia pensano che, a furia di facili slogan come “Yes We Can”, si possano davvero cambiare le cose.
Ma soprattutto il bestseller della Malkin è un secchio di acqua gelida tirato addosso a Barack Obama, la sua consorte e tutti i suoi accoliti, angeli con la faccia (molto) sporca che promettono un nuovo modo di fare politica ma che, a pensarci bene, di nuovo non ha proprio niente. Il libro è uscito in America il 27 luglio scorso e, dopo poco tempo, aveva già scalato le classifiche di Barnes&Noble e del New York Times. Il che a ben vedere è in rapporto diretto con i sondaggi che danno in caduta libera dell'Illinois Boy, alle prese con problemi decisamente più grandi di lui. Ovviamente nessun giornale mainstream ha dedicato uno straccio di recensione al libro della Malkin, se si eccettua una striminzita e alquanto scettica accoglienza sul blog del
Washington Post.
Eppure il giornalismo liberal degli Usa (come anche quella nostrano) si è sempre fregiato del titolo di "stampa libera", senza peli sulla lingua e remore di alcun genere. Il motto è, o dovrebbe essere, “se salta fuori una notizia, stai sicuro che la pubblichiamo”. Ma forse una spiegazione all'improvviso black-out sul libro della Malkin esiste: “Ciò che ho fatto è stato aiutare a frantumare completamente i miti di speranza e cambiamento delle nuove politiche di Washington perlustrando ogni centimetro di questa nuova amministrazione - ha detto l'autrice - dimostrando come, nel breve periodo di sei mesi, questi signori hanno tradito ogni loro principio e infranto ogni promessa fatta in campagna elettorale”.
Il pesante sottotitolo del libro, “Obama e il suo team di evasori fiscali, truffatori e compagni di merende”, era perfetto per evitare ogni genere di recensione sui principali quotidiani statunitensi: sfogliate pure il New York Times o Usa Today: non ne troverete traccia. Il testo va (troppo) dritto al punto ed è corroborato da prove scottanti e riferimenti bibliografici inconfutabili per poter essere preso in considerazione da chi, fino a ieri, esaltava entusiasticamente le magnifiche qualità del salvatore Obama, l'eroe sul cavallo bianco circondato da angeli e santi.
La lunga lista di scandali, corruzioni, evasioni fiscali e incompetenza associata alla nuova amministrazione invece dimostra il contrario. Comincia da Michelle Obama, osannata come la nuova Jacqueline Kennedy, una "madonna nera" già in aria di beatificazione. Ma attenti a criticare il suo operato perché si rischia di essere immediatamente accusati di razzismo. Eppure la sua reputazione di benefattrice, di donna che si è fatta-da-sé, è totalmente fuori luogo. A parte la sua formidabile carriera d’avvocato, pubblicizzata come farina del suo sacco ma che in realtà è frutto delle conoscenze del marito, c’è la storia di come la grande benefattrice sia riuscita a togliere a migliaia di poveri di Chicago il diritto di essere curati nella clinica cittadina.
Quando nel 2007 Michelle Obama lasciò il posto di vice-presidente per gli affari comunitari ed esterni alla University of Chicago Medical School (che si era guadagnato con il sudore della sua… amicizia con Valerie Jarret) per aiutare il marito nella campagna elettorale, fece comunque in tempo a mettere in piedi un programma di sfratto dei pazienti poveri (che pagavano rette moto basse) a favore di quelli un po’ più facoltosi. Piccolo particolare, nonostante Michelle si fosse licenziata nel 2007, l’anno successivo la UCMS gli ha corrisposto uno stipendio di 62,709 dollari. Una bella cifra per una che non si è mai fatta vedere al lavoro. Ma non finisce qui. L’Università di Chicago, per promuovere il suo nuovo piano di scarico dei pazienti poveri, ha ingaggiato nientemeno che laASK Public Strategies che poi sarebbe la società di David Axelrod, senior adviserdi Barack Hussein alla Casa Bianca.
Insomma, non appena hanno messo le mani su un ospedale che prima serviva alla comunità di Chicago, questi cavalieri e cortigiane senza macchia lo hanno trasformato in una casa di cura per facoltosi. Tanto i poveri potevano comunque usufruire di un servizio navette che li avrebbe “accompagnati” fuori città, in un altro ospedale (di qualità decisamente inferiore). I ricchi, invece, venivano accolti con sorrisi a 32 denti, dati i loro ben più cospicui pagamenti. Alla faccia della benevolenza Democrat.
Un altro mito da sfatare riguarda quell’esempio di onestà unico nel suo genere che risponde al nome di “Average” Joe Biden. Il vice-presidente di tutti, presentato da Obama alla stampa come un “working class hero” che si trova a suo agio in un bar di Cedar Rapids come nei corridoi di Capitol Hill. “Joe Biden è un raro mix - ha dichiarato il Presidente Usa - che per decenni ha portato il cambiamento a Washington ma che non è stato cambiato da Washington”.
E' lo stesso Joe Biden che si è presentato alla gente nel suo discorso di insediamento dicendo “signore e signori, il vostro tavolo da cucina è proprio come il mio…voi vi ci sedete la sera dopo aver mandato i bambini a letto e parlate di quello di cui avete bisogno. Parlate di quanto siete preoccupati per le bollette”. Magari il vostro tavolo da cucina non sarà proprio uguale a quello che c’è nella nuova villa con 4 acri di terreno fronte-lago comprata da Biden nel Delaware, valore di mercato 3 milioni di dollari, pagata 350,000 in contanti (più o meno quello che costano settanta metri quadri a Torrevecchia), il tutto vendendo la sua vecchia catapecchia da demolire per 1,2 milioni di dollari alla MBNA (una grande compagnia di carte di credito)...
Va bene, magari quello edilizio è un settore in cui la scarsa conoscenza di Biden può aver causato queste strane compravendite, ma una cosa di cui di sicuro il Vice-Presidente Usa si intende sono i treni. Non a caso la Amtrack ha usufruito di un assegno da 1,3 miliardi di dollari nel 2008. Poi sarà un caso che i viaggi sulla linea ad alta velocità da mille dollari al mese che portano “Average” Joe nei suoi uffici di Washington siano coperti dal governo. Per carità, una cosa normale visto che tutti i membri del Senato Usa possono avere uno sconto o, come nel caso di Biden, utilizzare i soldi della campagna elettorale per coprire queste spese quando c’è di mezzo un meeting elettorale.
Peccato che il New York Times (voce al riparo da ogni accusa di parte) abbia scoperto che le spese relative ai trasporti su rotaia sostenute dal “Vice-Presidente di tutti” sono rimaste altissime anche durante gli anni in cui non c’era nessuna elezione! Nel 2003, per esempio, quando Biden era stato appena ri-eletto, il suo comitato ha speso ben 10,874 dollari in biglietti Amtrack mentre il suo collega, Senatore Tom Carper, solamente 1,257 dollari e il Deputato Mike Castle la modica cifra di 589 dollari. Ma lasciamo Biden alle sue ville acquistate a prezzo da discount, le sue catapecchie vendute come fossero castelli e ai suoi viaggi gratis tra il Delaware e Washington D.C. per trattare degli altri “crooks and cronies” della compagnia di Obama.
Che dire di Leon Panetta, messo a capo della Cia in fretta e furia visto che si voleva qualcuno che non avesse legami con l’era Bush? In realtà, il team Obama con questa mossa ha dato carta bianca a uno che di intelligence non ne sapeva proprio niente. Non a caso Michael O’Hanlon, della sinistrorsa Brookings Institution, ha bacchettato la scelta di Panetta il quale in precedenza “non aveva ricoperto alcun incarico di rilievo in materia di Sicurezza Nazionale”. Allora la Malkin giustamente si chiede: “ma HopeAndChangetm non doveva riguardare i più qualificati funzionari ai più alti standard possibili”? Sempre restando in tema di sicurezza, si potrebbe parlare del nuovo direttore del National Intelligence Council, Charles Freeman, noto antisemita che considera l’intervento delle autorità cinesi a Tienammen troppo poco violento e l'11 Settembre una responsabilità dell’America che avrebbe dovuto “fare introspezione” per non urtare la suscettibilità del mondo musulmano.
E poi c’è l’altro caso eclatante di Timothy Geithner, il Wonder Boy di cui tutti hanno decantato le magnifiche doti intellettive e il fantastico résumelavorativo. Peccato che negli anni novanta, quando lavorava al FMI, il “Wiz Kid” si sia reso responsabile del disastroso programma per lo sviluppo dell’Indonesia, sbagliando completamente diagnosi e applicando di conseguenza una cura inefficace al “malato”. Anche come Presidente della Federal Reserve Bank di New York (incarico che ottenne grazie all'intenso lobbying con il suo mentore di Wall Street, Robert Rubin), Geithner si rese protagonista di una politica volutamente sballata e certamente poco democratica. Le conseguenze delle sue decisioni sarebbero ricadute sulle spalle dei contribuenti. Mentre Rubin faceva il funzionario alla Citigroup, Geithner permise alla banca newyorkese di ottenere un prestito governativo di 52 miliardi di dollari quando invece avrebbe dovuto tenere sotto controllo le spese del gruppo. A seguito di una ricerca portata avanti dall’agenzia di giornalismo investigativo indipendente ProPubblica è saltato fuori che lo stesso Geithner aveva anche “sollevato la Citigroup da alcune restrizioni, mettendo la banca in grado di avventurarsi in rischiosi investimenti senza avere a disposizione il capitale sufficiente”.
C'è poi la “Assistente Presidenziale per l’Energia e il Cambiamento Climatico”, Carol Browner. L’estremista verde, ex-capo della Environmental Protection Agency preferisce essere chiamata “Energy Czar” ma forse sarebbe meglio chiamarla direttamente “Energy Commissar”, visto che in passato era stata un membro di un’organizzazione Socialista chiamata Commission for a Sustainable World Society. La scelta della Browner che, come tutti gli Zar, ha bypassato l’approvazione del Senato, suscitò d’altronde non poco clamore, tanto che i socialisti della CSW hanno rimosso in fretta e furia dal loro sito tutte le prove della collaborazione con il nuovo capo dell’EPA. La Browner è comunque specializzata nella sparizione di prove e nella produzione di fantasiose scuse: durante i suoi ultimi giorni come capo dell’EPA ha commissionato la distruzione di tutti i file (e di tutte le email) contenuti nei computer di tutti gli impiegati dell’agenzia in aperta violazione di un ordinamento del giudice federale. La spiegazione? Il suo computer non conteneva materiale lavorativo (!) ma soltanto videogiochi scaricati per suo figlio.
Si potrebbe andare avanti e citare casi come quello di Vivek Kundra, ora a capo del Federal Information Office (l’infrastruttura di Information Security del governo Federale) la cleptomane che a 20 anni rubò una manciata di camicie da uomo al J.C Penney e poi tentò la fuga per evitare l’arresto. Oppure continuare la lista degli scandali di corruzione, incompetenza e lobbying sfrenato con altre decine di nomi della nuova amministrazione. Per questo consigliamo vivamente un'attenta lettura del libro della Malkin, giornalista di origini filippine, che ha riempito 292 pagine di dettagli scottanti (75 pagine di note bastano a renderla credibile). Un volume adatto a chi, durante la notte del 4 novembre, brindava a champagne e ancora oggi continua a decantare le doti di freschezza ed onestà della nuova amministrazione statunitense. Leggere la Malkin aiuterà i seguaci del "profeta" a farsi un bell'esame di coscienza, anche qui in Italia, come già sta succedendo da tempo in America. Controllare i sondaggi, please.

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