giovedì 25 febbraio 2010

AL CABERT DI TRAVAGLIO SI INSEGNA GIORNALISMO

Difficile togliersi dalla testa il dubbio che la lite epistolare tra Marco Travaglio e Michele Santoro non sia stata almeno in parte studiata a tavolino, orchestrata magistralmente per tenere Annozero - il più autoreferenziale dei talk show - sugli scudi mediatici una volta di più. Specie dopo la scambio di amorosi sensi tra i due protagonisti e il finale da "volemose bene" e andiamo avanti.

Travaglio non lascia Santoro, dunque, ma la traccia di questa vicenda non scompare del tutto. Travaglio ha certamente la stoffa del carnefice, ma quando si trova a dover fare la vittima sbaglia toni e argomenti. Così la sua reazione agli attacchi di Belpietro e Porro nell'ultima puntata è stata esagerata e mistificatoria. L'eroe dei giustizialisti si è sentito braccato e ha preteso da Santoro una migliore difesa in nome del fatto che i suoi ospiti "andavano fuori tema" per attacarlo con calunnie personali.

Ma se andate a risentire la registrazione della puntata vi accorgerete che questo non è vero. Travaglio stava concionando contro le cattive frequentazioni di Bertolaso, descritto come "un signore che non sa chi lavora nella stanza accanto, che non sa chi sono le persone di cui si circonda e che non considera l'inopportunità di instaurare rapporti di dimestichezza con personaggi sospetti".

E' a questo punto che Nicola Porro interviene e gli dice: "Travaglio, sarà capitato anche a te di frequentare qualcuno che non andava frequentato". Il vice direttore de Il Giornale voleva dimostrare che la cultura del sospetto non fa bene a nessuno. Il senso del suo intervento è tutt'altro che calunnatorio, anzi all'opposto: dice in sostanza che si può rimanere delle persone per bene anche se si hanno degli amici che poi si rivelano dei furfanti. Vale per Travaglio ma deve valere anche per Bertolaso o chiunque altro. L'osservazione era dubnque congrua con il tema della puntata e niente affatto offensiva. Travaglio invece coglie l'allusione ad una vecchia vicenda - peraltro tirata fuori su Repubblica da Giuseppe D'Avanzo - di una sua amicizia con un ufficiale dell'Antimafia poi arrestato e condannato per favoreggiamento, e perde le staffe. Poi, a trasmissione finita, scrive a Santoro avviando la querelle che si è conclusa solo oggi.

Dice Travaglio nella sua lettera: "gli interlocutori che a te paiono “sempre uguali” sono cambiati: Porro e Belpietro erano sempre venuti a confrontarsi sui temi del programma e non si erano mai abbassati alla calunnia personale". Ma la tesi di Travaglio secondo cui non dovrebbero essere tollerabili in trasmissione simili sconfinamenti "fuori tema" non regge per nessun verso. In primo luogo perché la discussione che tanto lo ha fatto infervorare seguiva un filo logico e consequenziale e se lui ci è rimasto impigliato personalmente non può lamentarsene. A meno di non voler ritenere che ad Annozero di tutto si possa parlare, tutti possano essere messi in discussione, tranne Marco Travaglio.

Ancor meno vale come argomento la categorizzazione che Travaglio offre di giornalisti nella sua lettera a Santoro: "Da una parte ci sono giornalisti normali, come l'altra sera Gomez e Rangeri, che non fanno sconti né alla destra né alla sinistra; e dall’altra i trombettieri. Che non sono di destra: sono di Berlusconi. E non fanno i giornalisti: recitano un copione". Non è anche questa una calunnia, un uscir fuori tema? Invece di ripondere nel merito si dice: non contano, sono pagati da Berlusconi, anzi peggio, sono di Berlusconi: hanno venduto l'anima.

Ma c'è un'altra obiezione alle paturnie di Travaglio che si richiama al suo stile giornalistico. Come si può pretendere si essere immuni da offese personali e insinuazioni, quando queste sono la materia prima dei suoi editoriali quotidiani.

Sul Fatto Quotidiano e a firma Travaglio nessuno si salva: Feltri è "Littorio Feltri", Giuliano Ferrara è "Giuliano l'Aprostata", Berlusconi è sempre "Il nano" o "Banana", poi c'è Disguido Bertolaso o "Bertolao Meravigliao", Bruno Vespa che conduce "Pompa a Pompa", c'è Bottino Craxi, Alfano che diventa "Agelino Jolie", Giorgio Ponzio Napolitano, eccetera, eccetera...

E' questo il famoso giornalismo dei fatti per cui Travaglio va famoso? Sono necessari al "tema" dell'articolo quei nomignoli, quelle storpiature? Si tratta di giornalismo o di cabaret?

E' difficile dar credito ai richiami di Travaglio per un giornalismo misurato, senza calunnie, senza offese personali, attento a non sconfinare dal "tema". E' difficile perché l'impressione molto netta è che queste regole lui le invochi solo a sua difesa, mentre chiunque altro può essere travolto dalla sua ira e dal suo dileggio senza neppure poter fiatare.

Da L'Occidentale

1 commento:

Anno.......uno ha detto...

Una trasmissione,ormai quella di Santoro,diventata un vero e proprio "Travaglio" si accomodino.Comunque coloro interessati a sentir parlare male di Berlusconi o assistere all'apologia della coca