venerdì 6 agosto 2010

Lo sbilanciamento sulla Lega? Dovuto alla politica autolesionista di Fini



L'Occidentale

Piero Ostellino ha certamente il merito di avere posto, su Il Corriere della Sera, la questione della situazione sbilanciata della Lega Nord nella coalizione che governa il paese, con una larga maggioranza. La ha definita, in modo appropriato, azionista privilegiato della coalizione di governo.

La popolarità del governo Berlusconi e del suo leader persiste, anche in periodo di crisi e anche con la linea di rigore, che esso ha assunta nella manovra di finanza pubblica. Ciò dimostra la maturità degli italiani, ma anche il senso di responsabilità nazionale di questa coalizione di cui la Lega Nord è l’azionista privilegiato. Che, dunque, sponsorizza questo indirizzo e se ne assume la responsabilità anche nello scontro con le Regioni.

Un partito che alcuni, non comprendendo le piccole e medie città e i paesi, che sono il bacino elettorale della Lega Nord (in particolare mi riferisco a quelli montani e pedemontani in cui è nata e fiorisce la Lega) giudicano come composto di un elettorato intimamente secessionista. Ma in realtà, se ha un peccato, questo elettorato, è quello di essere convinto che esso paga troppe tasse per colpa del Sud. Mentre in realtà paga troppe tasse per colpa della enorme estensione del governo, statale, regionale e locale.

Tuttavia se c’è lo sbilanciamento che Ostellino pone in luce, ciò non dipende dalla Lega Nord, dipende essenzialmente dal fatto che il gruppo di Fini ha rinunciato ad essere espressione della destra storica, di unità nazionale e ha anche rinunciato a essere espressione di quella media e piccola borghesia centro meridionale che crede nella legge ed ordine, nel risparmio, nella dignità nazionale ed è contro il meticciato etico e culturale che viene teorizzato dalla sinistra. Non è razzismo essere contro l’immigrazione clandestina, non è razzismo richiedere che il voto agli immigrati non sia automatico e che essi rispettino la nostra identità culturale.

E’ paradossale che lo slittamento finiano verso il “pensiero debole” e i tic della sinistra crepuscolare abbiano luogo mentre in Calabria la competizione per la Regione è stata vinta con distacco da un esponente del mondo che crede in questi valori, proveniente da An e che nel Lazio abbia trionfato Renata Polverini, esponente del sindacato che si rifà alla tradizione valoriale di An, da Fini stesso sponsorizzata. A Napoli ha vinto Caldoro, in questo caso si tratta di un giovane esponente del Pdl che si rifà alla tradizione del liberal socialismo, ma il discorso, comunque, non cambia. E’ un volto del Sud diverso dal clichè tradizionale. E diversi da quel clichè, sono personaggi come Alfano e Schifani.

Sarà pure vero che la Lega è azionista privilegiata del governo, ma il Pdl ha un crescente consenso nelle forze vive del ceto medio borghese e piccolo borghese del Meridione e dell’Italia centrale, che non si capisce bene perché Fini, al momento, non sembra interessato a rappresentare, preferendo la sinistra elitaria.

Si può aggiungere che prima di Fini, il cui indirizzo a me pare comunque ancora indefinito e incompiuto, è stato Casini a rinunciare alla espressione di questi ceti all’interno della maggioranza, per inseguire un ruolo nel terzo polo, che è una fata Morgana.

Come ha ben chiarito Emma Marcegaglia, alla grande maggioranza degli italiani il tripolarismo non è più gradito perché non è adatto alle sfide del mondo globalizzato. Come essa ha argomentato, in risposta a un articolo di Sergio Romano, gli italiani sono per un sistema maggioritario, cioè per la democrazia competitiva, che è l’interfaccia dell’economia competitiva. Non sono più (posto che realmente lo fossero nel passato) per la democrazia consociativa, interfaccia dell’economia concertata. I governi di unità nazionale non sono più graditi, vuoi se gestiti dai politici, con dosaggi parlamentaristici, vuoi se gestiti da tecnici illuminati come vagheggiano gli ex azionisti di via Solferino e di Piazza Cuccia (dico “ex azionisti” riferendomi al partito d’azione di cui essi sono orfani, non ai pacchetti azionari di cui essi sono felicemente dotati).

Occorre sottolineare una cosa che manca nel chiaro e nobile ragionamento di Emma Marcegaglia, ma che è in esso implicita: il fatto che il sistema maggioritario, che piace agli italiani e che da luogo alla democrazia competitiva, si attua anche con il sistema elettorale proporzionale, tramite il ruolo del leader. E’ questo elemento necessario per l’efficienza della politica e dell’economia.

Un tempo alla Confindustria non era gradito che ci fosse una figura di leader del governo, dotato di troppo potere di governo. Infatti per condizionare la politica alle banche e alle grandi imprese, occorre che i leader politici siano intercambiabili e le maggioranze siano mobili. Invece ora la Confindustria vuole che ciascuno sia autonomo. Vuole lo stato “laico” dal punto di vista del potere economico. Le piace la Fiat di Marchionne, ma indirettamente le piace il governo che lascia libero Marchionne nel suo rapporto con i sindacati e non interferisce con le mosse di questi e di quello. Marchionne su Termini Imerese e su Pomigliano agisce con criteri economici che Emma Marcegalia loda. Ma ciò accade perché questo governo "lascia fare". E’ un governo pro mercato. Sarà vero che il suo azionista privilegiato, la Lega Nord non ha il bollino blu dei liberali doc. Ma è pur vero che la Lega è coprotagonista di questa svolta che si può definire col motto “Libera (Conf)industria in libero stato”.

La Lega Nord, nella vulgata sarebbe un partito ultra provinciale, in quanto le vallate da cui essa trae i voti sarebbero ricche, ma fondamentalmente incolte e pertanto dotate di una mentalità chiusa, stra paesana e provinciale. Non bisogna confondere gli aspetti pittoreschi con la sostanza.

La Lega Nord non ha commesso i due errori che si possono imputare a Fini e Casini, cioè quello di non avere capito che per avere un governo autorevole, che guida in modo continuativo lo stato e non è esposto alla pressione martellante delle lobbies, occorre un leader autorevole. E occorre rispettare la volontà dell’elettorato che ha votato questo leader, dando il voto alla coalizione che reca il suo nome. Inoltre occorre prendere atto che la Lega Nord ha capito alcuni principi dell’economia sociale di mercato liberale (dove la parola “sociale” non ha il senso concertativo e redistributivo che gli attribuiscono Romano Prodi e il professor Monti). Essa vuole attuare il federalismo. Ma si è resa conto che per farlo in modo gradito ai cittadini, occorre smagrire le Regioni e ridurre le imposte in occasione della devoluzione ad esse e agli enti locali dell’autonomia fiscale.

Nella vertenza con le Regioni, la Lega sta dalla parte di Tremonti che vuole ridurre le loro spese e non dalla parte dei governatori che le vogliono mantenere inalterate, magari distinguendo le Regioni virtuose dalle altre. La virtuosità che gli elettori si attendono è quella che viene affermata nel documento sul federalismo, appena varato dal governo, che vuole la riduzione delle regolamentazioni, la semplificazione delle regole e la chiarezza sulle competenze, con minor dirigismo anche delle Regioni e degli enti locali. La lotta all’evasione si accompagna con la moderazione delle aliquote per migliorare il gettito, in una economia in crescita.

In Via Solferino, sede del Corriere della Sera su cui scrive il liberale Ostellino, invece, in un passato recente, si è apertamente lodato Tommaso Padoa Schioppa che sosteneva che le imposte sono belle e che aveva come suo vice ministro delle finanze, Vincenzo Visco, che sostiene coerentemente uno stato sociale che tassa e spende, per modificare il sistema di mercato, con modalità ad esso non conformi. E sempre su il Corriere della Sera si legge che la tassazione con una cedolare secca del 23% (che diventa il 20% togliendo il 15% forfettario di spese) voluta da Tremonti e Calderoli per anticipare il federalismo e ottenere il consenso degli enti locali ai tagli imposti dalla manovra di finanza pubblica, è un regalo ingiustificato ai benestanti e agli enti locali. Ciò partendo dal postulato che l’imposta progressiva vigente sia una buona istituzione, che non ci sia alcun motivo per favorire fiscalmente il risparmio. Tale articolo definisce come dovuta alla “lobby del mattone” la riduzione delle imposte sul reddito del risparmio realizzato dai privati cittadini mediante l’investimento in immobili da dare in affitto. Si accusa questo governo – Pdl e Lega - di avere tradito la promessa agli elettori di ridurre le imposte, ma di fronte a una riduzione accompagnata alla lotta all’evasione che gli enti locali in questo campo sono in grado di fare meglio dello stato, si obbietta che è un regalo alle lobbies, definendo come tali tutti quei medi e piccoli borghesi che risparmiano investendo nell’edilizia civile.

C’è una altra cosa che la Lega Nord ha capito ed è che la lotta alla criminalità organizzata è essenziale per lo sviluppo del Sud e fa parte della battaglia federalista.

Lo schema di federalismo che la Lega propugna, con il fondo perequativo a favore delle regioni meno abbienti, i costi standard e i tributi autonomi, per responsabilizzare gli amministratori, non è uno schema secessionista, ma di unità nazionale. E’ pero uno schema molto difficile da attuare, se non si modifica la Costituzione, togliendo la confusione delle competenze concorrenti dello stato con le Regioni. Attualmente, ad esempio, tutte le Regioni hanno le proprie rappresentanze all’estero. Ci sono ancora molti passi avanti che la Lega dovrà fare per realizzare il modello federalista, con meno tasse e meno regole, che gli elettori vorrebbero.

La abrogazione delle province, la minimizzazione delle imprese pubbliche e degli enti pubblici delle Regioni e degli enti locali, la rinuncia alla imposta sui servizi, cattivo surrogato dei prezzi per i servizi, sulla base dei loro costi e della domanda, possibilmente con gestione privata. Le contraddizioni che serpeggiano nella Lega Nord mostrano che se la versione che ne dà Ostellino è impropria, è anche vero che essa è un partito in ebollizione. Perché, fra l’altro, la componente veneta è diversa da quella lombarda e questa da quella piemontese. Ciò benché tutte abbiano un elettorato che fa parte dell’area di Europa più aperta ai mercati globali, che per altro conserva un animo provinciale. Con i pregi e i difetti del caso.

Meglio qualche accento dialettale di troppo che lo snobismo dei salotti.

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