giovedì 21 luglio 2011

Con l'arresto di Papa la magistratura ha vinto, il Cav. ha perso (quasi tutto)

L'Occidentale

Il centrodestra tenterà come può di arginare la frana che sta travolgendo l’ultimo perimetro difensivo delle prerogative parlamentari. L’arresto dell’onorevole Alfonso Papa crea un precedente da cui sarà difficile scostarsi perchè il rifiuto opposto dal Senato ai domiciliari di Alberto Tedesco sa di trucco svelato, il cui effetto è stato quello di consentire al centrosinistra di incassare un bonus aggratis.
Se poi l’arresto di Papa resterà isolato o inaugura una nuova declinazione dei rapporti fra Parlamento e magistratura lo si scoprirà presto, precisamente con la discussione su Marco Milanese e, se c’è equanimità, su quello in itinere di Filippo Penati.
Al di là degli episodi quello che emerge è la sconfitta di Silvio Berlusconi nel confronto con l’Ordine giudiziario che non solo non è stato ricondotto entro l’alveo fisiologico ma traborda affermando il primato del suo giudizio sulla volontà del corpo elettorale.
Le responsabilità vengono comunque da lontano e hanno origine nel mancato riallineamento dei rapporti di forza tra i poteri dello Stato seguito alla soppressione dell’immunità parlamentare e la mancata riforma della composizione del Consiglio superiore della magistratura.
Intendiamoci, di fronte all’insensibilità mostrata dal Parlamento rispetto ai privilegi di cui godono i suoi componenti, il rigetto delle istanze della magistratura avrebbe assunto i toni dello sberleffo per gli italiani epperò che sia ormai conclamato il venir meno dell’indipendenza e dell’autonomia del Parlamento è indiscutibile.
Troppo concentrato su questioni contingenti artatamente sollevate, il Cavaliere non ha ascoltato chi gli suggeriva di seguire la via maestra del rilancio dei principi di legalità e di separazione nel loro aspetto organizzativo dei rapporti istituzionali e si è lanciato in crociate che ne hanno offuscato l’immagine accreditandogli il perseguimento di interessi personali.
Per dirla chiara il presidente del Consiglio paga il non aver accettato il rischio del governo tecnico che nell’agosto del 2010 lo convinse a non stressare i rapporti con il Quirinale; paga non aver rivendicato il diritto di ospitare a casa sua chi vuole e divertirsi come lui ama divertirsi (perché è suo diritto, visto che le sue feste non le pagano gli italiani e il giudizio sull’etica dei costumi è un fatto di coscienza); paga il non aver liberato la Pdl dai servi sciocchi e consenzienti che lo scimmiottano e difendono per interesse; paga la pleonaxia che si è diffusa in tutta la classe politica nazionale. Insomma paga il suo timore di rischiare: lui che sul rischio ha costruito il centrodestra fin da quando sdoganò Fini e il Msi. Infine paga il tramonto della stella di Bossi, oggi in minoranza nella Lega "maronicentrica".
Nei prossimi giorni le fibrillazioni naturali o indotte rilanceranno la richiesta del governo tecnico (piuttosto che degli onesti, di solidarietà, ecc. ecc.) ma la palla sarà ancora nella mani di Berlusconi che dovrà scartare per evitare che l’arresto di Papa e quello incombente di Milanese si trasformino in prove generali di uno spettacolo che l’Italia non può permettersi.
Cosa c’è in definitiva da perdere nell’accettare la sfida e rilanciare: si vuole il governo tecnico che si provi a farlo, che lo si faccia! Si vogliono le elezioni: si sciolgano le Camere (una nuova legge elettorale non la vuole nessun partito)! Verifichiamo se gli italiani hanno abbandonato Berlusconi oppure non lo riconoscono nel presidente del Consiglio depresso e rinunciatario che vedono seduto a Palazzo Chigi; in molti dei suoi ministri, molti dei dirigenti dello Stato e manager pubblici che ha nominato; in molti dei dirigenti della Pdl che pontificano, in molti dei presidenti di regioni e provincia che ha fatto eleggere. Nel 2006 Casini e Fini lanciarono l’attacco a tre punte forti della sconfitta di Storace alla regione Lazio. Doveva essere la debàcle definitiva, invece bastò il discorso agli industriali e la vittoria di Pirro di prodi si tramutò nel successo del 2008.
Gli italiani sono ancora tanti popoli divisi. Il 150enario festeggiato non ha nulla dell’ 8 maggio 1995 tedesco (data in cui il riunificato Popolo Tedesco indicò l’8 maggio 1945 come data ideale della sua liberazione dal nazismo e dal comunismo) ma gli italiani sono uniti nel condividere l’esigenza di una leadership forte, capace di spiegargli perché bisogna fare sacrifici. In cambio chiedono solo per cosa devono farli questi sacrifici perché è sono tutti stanchi di avere il sospetto di farli solo per chi mandano in Parlamento

Nessun commento: