martedì 10 luglio 2012


Disastro energia verde Moltiplica i disoccupati

Le rinnovabili hanno aumentato le bollette, messo in crisi l’industria e cancellato migliaia di posti di lavoro. E la protesta finisce in piazza


Il Giornale


In Germania è ancora un allarme circoscritto a esperti e industriali, ma in Spagna siamo già alle rivolte di piazza, con i minatori che stanno marciando su Madrid e l'intera regione delle Asturie in tumulto.
La conversione alla Green economy sta già facendo vittime, come era facilmente prevedibile, e le vittime cominciano a ribellarsi. Domani a Madrid è previsto l'arrivo della «Marcia Nera», centinaia di minatori partiti un mese e mezzo fa dalle Asturie - dove è concentrata larga parte delle miniere di carbone - a cui si sono aggiunti per strada altri colleghi delle miniere di Leon e Palencia (dove si estrae il carbone di migliore qualità). É una protesta dura, con uno sciopero che dura da due mesi e ripetuti scontri con le forze dell'ordine, contro la decisione del governo Rajoy di tagliare del 63% i sussidi statali all'industria del carbone (l'unica risorsa energetica significativa prodotta in Spagna), che ammontano a 300 milioni di euro l'anno. In realtà il governo di centrodestra c'entra poco, perché in questo caso obbedisce soltanto a una direttiva europea che stabilisce la cessazione di ogni aiuto statale all'industria del carbone entro il 2018, mentre si moltiplicano gli incentivi per l'energia da fonte rinnovabile. Inoltre è stato il governo di Zapatero a imprimere 10 anni fa una svolta «verde» alla politica energetica spagnola: 60 miliardi di euro di investimenti nell'energia rinnovabile tra il 2000 e il 2010, che hanno creato 50mila posti di lavoro, ma solo 5mila permanenti. Nello stesso tempo è iniziato lo smantellamento dell'industria del carbone, che negli anni '80 impiegava ben 50mila lavoratori e ora solo poco più di 5mila, di cui oltre la metà è ora a rischio. A fronte di un investimento enorme, arrivato oggi a sfiorare i 100 miliardi di euro (curiosamente la stessa cifra stanziata dalla Ue per salvare le banche spagnole), il saldo per l'occupazione è disastrosamente negativo.
E potrebbe andare ancora peggio in Germania, capace di trascinare con sé il resto d'Europa, come peraltro ha già cominciato a fare. I segnali sono inquietanti: non solo i cittadini tedeschi hanno visto aumentare in dieci anni la loro bolletta energetica del 57% (ora la Germania è seconda solo all'Italia per il costo dell'energia), uno studio uscito nei giorni scorsi quantifica in 300 miliardi di euro il costo aggiuntivo per i tedeschi da qui al 2030 per i sussidi alle energie rinnovabili. É rilevante che a lanciare l'allarme sia stato Georg Erdmann, un professore di Energetica che il governo stesso ha nominato pochi mesi fa nel comitato di esperti chiamato a seguire la «rivoluzione energetica» tedesca. É questo il progetto voluto 10 anni fa dal governo di coalizione tra socialdemocratici e Verdi, che prevede la chiusura totale delle centrali nucleari e l'incremento dell'energia rinnovabile fino all'80% del totale entro il 2040. La Merkel ha confermato questo impegno; aveva inizialmente cercato di salvare il nucleare ma dopo l'incidente di Fukushima ha stabilito per il 2022 la data dello stop all'atomo. Ma la transizione all'energia verde si sta già dimostrando un clamoroso autogol: solo quest'anno, i sussidi alle energie rinnovabili ammontano a 14,1 miliardi di euro, un costo che per l'industria sta diventando insostenibile. A pagare le maggiori conseguenze sono il settore chimico, metallurgico e cartario. Nell'industria dell'alluminio l'elettricità rappresenta ormai il 40% del costo totale, una situazione che ha già costretto alcune grosse aziende, come la Voerdal, a chiudere. Ma una protesta decisa è venuta anche dall'associazione che riunisce le aziende siderurgiche mentre il Commissario europeo all'energia, il tedesco Guenther Oettingher ha chiaramente parlato di processo di de-industrializzazione in corso. Lo stesso Oettingher ha chiesto a livello europeo un taglio ai sussidi per il solare almeno del 30%, obiettivo condiviso anche dalla Merkel. Almeno fino a pochi giorni fa, quando il suo nuovo ministro dell'Ambiente Peter Altmaier, ha sorpreso tutti cancellando i tagli previsti e annunciati. La decisione rende ora impraticabile la promessa della Merkel di contenere il costo sulla bolletta per i sussidi al rinnovabile a 3,5 centesimi il kilowattora: secondo Erdmann il costo schizzerà ad almeno 10 centesimi.
Adesso si vedranno le reali convinzioni della Merkel: se andrà avanti verso il suicidio politico ed economico oppure se farà fuori il secondo ministro dell'Ambiente, dopo il defenestramento di Norbert Roettgen in maggio.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Probabilmente andra' rivisto tutto e trovare una via di mezzo.