Fuori gli inetti
E’ troppo. Fino a ventiquattro ore fa le dimissioni dei ministri degli
esteri, Giulio Terzi, e della difesa, Giampaolo Di Paola, sarebbero
state un segno di dignità e della conservazione di un briciolo di senso
dello Stato. Niente da fare, mancavano. Ora, dopo l’ultimo, orrendo
passaggio, sono da considerarsi un’urgente necessità. Il presidente del
Consiglio non è affatto estraneo ai tanti e madornali errori commessi.
In condizioni normali l’accaduto avrebbe provocato la caduta del
governo, per manifesta incapacità.
Ma non siamo in condizioni normali, il governo è già dimissionario,
viviamo una crisi difficile e Mario Monti non può lasciare il suo posto.
Allora prenda immediatamente l’interim di esteri e difesa, vada lui,
martedì, a riferire alla Camera, si assuma le sue responsabilità e,
soprattutto, utilizzi il tardivo allontanamento dei due inetti quale
strumento per azzerare e far ripartire i rapporti con le autorità
indiane. Accadrà comunque, a cura del prossimo governo. Ma il tempo
manca e si deve correre. Anche ammesso (e non concesso) che i due
ministri abbiano delle ragioni, quelle passano totalmente in
second’ordine rispetto ai doveri che hanno nei confronti delle
istituzioni, degli italiani e di due militari. Che, pur essendo
all’origine del problema, dimostrano maggiore coraggio e rettitudine di
quanta loro siano in grado forse solo di pensarne.
Oramai la catena degli errori è così lunga che manca lo spazio per
stenderla. Anche andando per sommi capi, oramai l’elenco è devastante.
Da ultimo la totale idiozia di comunicare che il governo invertiva la
rotta e rispediva i due detenuti in India in quanto aveva avuto
rassicurazione circa l’esito del processo. Era esclusa la pena di
morte. In tale comunicazione pubblica il ministro degli esteri non
indovinava neanche l’intestazione della carta. C’era di che togliergli
anche la patente di guida. Prima di tutto la legge italiana impedisce
l’estradizione di qualsiasi essere umano, qualsiasi cosa abbia commesso
e di qualsiasi reato sia accusato, verso paesi che potrebbero punirlo
con la pena di morte. Se questo vale per le estradizioni, figuriamoci
per la riconsegna di due nostri militari. Ma a parte ciò, tale
questione sarebbe valsa fin dal primo momento, e anche per il ritorno
dopo le vacanze di Natale. Se sono accorti solo adesso, i rintronati
della Farnesina?
Infatti, quella era una scusa. I nostri
militari non rischiano (non rischiavano, almeno) la pena di morte. Il
fatto è che la decisione di non farli rientrare era stata presa da un
ministro in stato confusionale, al punto da credere d’essere veramente
un ministro. Gentile Terzi, lei non lo è. Non è all’altezza. Monti ha
sbagliato a designarla e Napolitano a nominarla. Se ne convinca, lei è
un segnaposto. Stia fermo e stia zitto. Sta di fatto che per
rimangiarsi la precedente cretinata, che seguiva l’idea assurda di
ricevere i due come fossero eroi, sono state chieste rassicurazioni
agli indiani. Loro le hanno fornite, perché intanto il guaio è
scoppiato anche in India, divenendo strumento per attaccare Sonia
Ghandi, che, difatti, ha reagito schierandosi contro l’Italia. Il Paese
che le diede i natali. Ma, forse, il ministro degli esteri, Salam
Khurshid, pensò di interloquire con un collega pensante e mai avrebbe
supposto che l’altro sarebbe andato a dirlo alla stampa. Fatto l’errore è
saltato su il ministro della giustizia, Ashwani Kumar, il quale ha
escluso il collega potesse avere venduto la sentenza di un processo
manco iniziato. Arriva il nostro sottosegretario, Staffan De Mistura, e
dice: abbiamo l’impegno scritto. Mi domando: dove li hanno trovati, al
club dell’incapace?
Il nostro ministro della difesa è stato,
bontà sua, assai meno loquace, ma due militari sono in pericolo senza
che nessuno abbia sollevato il problema della pirateria, del perché non
provvedono gli indiani (in acque territoriali è compito loro, e fuori
non hanno giurisdizione) e del perché a bordo delle nostre navi ci sono
militari e non contractors.
E in questo gorgo ci siamo
infilati per non avere affrontato all’origine il problema:
Finmeccanica. Ogni ora in cui Terzi e Di Paola restano al loro posto è
un’ora di danno all’Italia.
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