sabato 20 settembre 2008

Disastro Alitalia


di Emanuela Zoncu
tratto da l'Occidentale


Adesso si griderà alla resa dei conti politica e tutti diranno che la cordata ha fallito e che Berlusconi si è rivelato per l’ennesima volta un illusionista. Si sparerà a zero sull’operato del Governo, si parlerà di operazione bluff e gli irriducibili dei sindacati e della sinistra in genere continueranno a gridare vittoria come hanno fatto ieri i manifestanti di Alitalia davanti alla sede di Cai dopo la notizia del ritiro, rivendicando il successo per essere riusciti a stoppare una trattativa secondo loro "choc". Dimenticando forse che alternativa non c’è. “Alitalia, ora pagano i lavoratori”, titola l’Unità. E perché “ora”? E poi, il giornale diretto da Concita de Gregorio non aveva sempre detto che l’intera operazione per salvare il vecchio carrozzone pubblico italiano sarebbe stata deleteria per i lavoratori? Semplicemente si cerca di cavalcare ancora l’onda dell’antiberlusconismo ed è il gioco delle parti, per carità. Ma forse vale la pena guardare la faccenda da un’altra angolatura. Quella che mette in evidenza la prepotenza dei sindacati, la “svolta” (politica) della Cgil e lo strapotere di alcune categorie di lavoratori (i piloti, gli unici che possono tranquillamente ritrovare nuova occupazione in caso di fallimento), capaci di condizionare una trattativa al punto di farla andare a rotoli.
Che i lavoratori di Alitalia fossero diversi per natura da qualsiasi altro lavoratore di qualsiasi altra azienda (partecipata dallo Stato o privata) non è una novità. Tutti gli altri non indossano una divisa blu con logo verde e non fanno parte della Casta, non sono straprotetti e davanti a un posto di lavoro a rischio, a loro nessuno garantisce l’80% dello stipendio per sette anni. Non sono piloti né hostess, peccato per loro. Fanno semplicemente parte di alcune importanti aziende che magari stanno per procedere a una massiccia campagna di riduzione del personale (come Telecom Italia, che ha annunciato circa 5.000 esuberi entro il 2010 o Ericsson, che ha deciso di delocalizzare il settore ricerca e sviluppo del sito di Roma, dichiarando 300 esuberi) oppure lavorano nella Scuola o nella Pubblica Amministrazione e, a ragione o a torto, vivono momenti di incertezza legati a possibili, ma in parte necessari, tagli nella prospettiva di garantire il miglior funzionamento di un motore inceppato ormai da troppo tempo.
Il carrozzone Alitalia si trascina ormai da decenni, ha mangiato migliaia di miliardi di vecchie lire agli italiani ma vanta fior di interessi da difendere. Interessi che per il sindacato storico della sinistra italiana, la Cgil, sono cambiati nel corso della trattativa. Le cose del resto stavano andando bene fino a quando non è entrato in campo Guglielmo Epifani, che ha dato il via a una gestione politica della questione. I fatti: il leader della Cgil a un certo punto ha detto che non si poteva trattare senza il consenso degli autonomi. O meglio, in una lettera indirizzata a Roberto Colaninno, ha detto che il suo sì all’accordo quadro sarebbe arrivato aggiungendo però che senza i piloti proprio non se la sentiva di andare avanti. Colaninno, davanti all’ennesimo patto neocorporativo, ha sbattuto la porta in faccia ai piloti, impegnati nella loro personale battaglia di tutela di interessi corporativi. E la Cgil si è allineata con loro, su una linea che i suoi iscritti difficilmente potevano condividere (il sindacato conta più iscritti tra il personale di terra, del quale non ha tutelato alcun diritto, piuttosto che tra i piloti).
Il ruolo dei piloti del resto (che secondo le ultime notizie starebbero cercando di riallacciare in qualche modo il dialogo che hanno spezzato), come spiegano Antonio Signorini sul Giornale e Oscar Giannino su Libero, in caso di chiusura con Cai sarebbe stato ridimensionato: meno posti nelle rappresentanze sindacali quindi meno capacità di influenzare le scelte dei vertici perché nel "vecchio carrozzone" succedeva che i piloti avessero diritti decisionali sui vertici, le rotte, le macchine e il personale. Ma dietro il nuovo e stupefacente allineamento di Epifani c’è una motivazione di carattere politico che porta dritto sulla strada veltroniana. Il leader del Pd non ha mai assecondato l’iniziale orientamento di Epifani (arrivare a un accordo), anzi, avrebbe sempre spinto per far saltare il tavolo. Alitalia è stata uno dei cavalli di battaglia della campagna elettorale di Berlusconi, forse uno dei temi che gli ha permesso di schizzare nelle classifiche dei consensi portando a quello strappo di punti che ha segnato la vittoria del centrodestra sul centrosinistra. Emblematiche, al riguardo, le dichiarazioni del ministro Matteoli, secondo cui “i piloti hanno aperto un'autostrada verso il fallimento, mentre 1.550 posti di lavoro del loro comparto si salvavano. Inoltre c'è un aspetto tutto politico: sono stati strumentalizzati da una parte della politica che aveva tifato per far fallire l'accordo”, un riferimento “non a tutto il Pd. Ho visto le dichiarazioni di D'Alema e Bersani che hanno criticato fortemente il piano ma invitavano ad andare avanti. Non ho trovato questa responsabilità da parte di Veltroni”.
E adesso cosa dovrebbe fare Berlusconi? Ieri, nonostante il ritiro dell'offerta per l'acquisto di Alitalia da parte di Cai, di finire nel “baratro” di un fallimento proprio non ne ha voluto sentire. La partita non è ancora chiusa, quindi. Entro lunedì i sindacati dovrebbero acconsentire al piano Cai, sostanzialmente invariato e Roberto Colanninno potrebbe rientrare in gioco. E dalla Cisl è arrivato l'appello di Bonanni: "Faccio un appello accorato a Colaninno perché confidi di più sul largo consenso che ha già ottenuto e che potrà ancora ottenere sul piano per il rilancio di Alitalia e a Epifani perchè non si presti ad affossare definitivamente la Compagnia", ha appena detto il segretario generale. Ma per ora rimane solo l’amarezza per aver visto - nel giorno in cui i mercati finanziari di tutto il mondo facevano fatica a respirare schiacciati dal peso di una crisi così pesante che ancora non si riesce a tracciarne il confine e l’Italia entrava ufficialmente in recessione - centinaia di lavoratori Alitalia esultare per un accordo andato in fumo.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Calcina ha sentito il parere del pollo di plastica però!

Anonimo ha detto...

ragazzi l'Antonio Merloni sta chiudendo i battenti e i dipendenti hanno certe facce!
Nessuno brinda di sicuro,nessuno pensa che l'azienda sarà nazionalizzata.
forse i dipendenti farebbero qualsiasi sacreificio per mantenere il posto di lavoro.
Vorrei veder fallire l'alitalia (anche se è un male per tutto il paese)solo per vedere la caduta degli dei.
quando è troppo è troppo|