martedì 17 novembre 2009

Anche Schifani dà l'altoltà a Fini ed evoca l'ipotesi di elezioni anticipate


Due messaggi chiari nell’arco di ventiquattrore che portano la firma della seconda carica dello Stato. Fatto non casuale, sia perché Renato Schifani non è uomo che parla ogni giorno (e se lo fa usa il metro della prudenza), sia perché i contenuti delle sue parole sembrano indirizzati al presidente della Camera.

Lunedì la sottolineatura sulle riforme condivise che nelle file del Pdl è stata letta come una sorta di controcanto al monito della terza carica dello Stato secondo il quale la maggioranza non può farle a proprio piacimento. Oggi, e per la prima volta, è lo stesso Schifani ad evocare l’ipotesi di elezioni anticipate sottolineando che se viene meno “la compattezza” della maggioranza “il giudice ultimo non può che essere il corpo elettorale”.

Frasi che rimandano alle fibrillazioni di queste settimane nella maggioranza e all’interno del Pdl, non solo sul capitolo giustizia. A tenere alta la temperatura nel partito che Fini ha fondato con Berlusconi sono infatti le mosse dei finiani: dal processo breve, all’emendamento che di fatto riscrive il ddl Calabrò sul biotestamento, dalla cittadinanza breve al voto agli immigrati. Fino al caso Cosentino che rischia di diventare l’innesco della miccia. Parte proprio dal finiano Fabio Granata l’avviso ai naviganti quando dice che se l’opposizione presenterà una mozione di sfiducia contro il sottosegretario all’Economia Nicola Cosentino per il quale la procura di Napoli ha chiesto alla Camera l’arresto, “non potremmo certo smentire le nostre opinioni”. Posizione ribadita dal vicecapogruppo del Pdl Italo Bocchino che dice: “Valuteremo. Noi riteniamo sarebbe opportuno un passo indietro da parte del sottosegretario”. E il passo indietro per i finiani non è solo dalla corsa per la poltrona di Bassolino ma anche da quella nella compagine di governo. Questione che tra i berlusconiani non trova alcuna sponda, tutt’altro.

Intervenendo all’inaugurazione dell'anno accademico del collegio universitario “Lamaro Pozzani”, il presidente del Senato Schifani scandisce con cura il concetto: “Compito del governo è lavorare per realizzare il programma concordemente definito al momento delle elezioni. Compito dell'opposizione è esercitare il proprio ruolo di critica e di proposta alternativa, in coerenza con il proprio mandato elettorale. Compito della maggioranza è garantire che in Parlamento il programma del governo trovi la compattezza degli eletti per approvarlo. Se questa compattezza viene meno, il risultato è il non rispetto del patto elettorale. Se ciò si verificasse, giudice ultimo non può che essere, attraverso nuove elezioni, il corpo elettorale”. Quindi aggiunge che “è sempre un atto di coraggio di coraggio, di coerenza e correttezza verso gli elettori. Molti ordinamenti costituzionali da tempo accettano questi fondamentali principi di una democrazia matura. La scelta dei cittadini non va tradita, va rispettata fino in fondo, senza ambiguità e incertezze. La politica non può permettersi di disorientare i propri elettori”.

Ma è su un passaggio in particolare che nei commenti in Transatlantico molti deputati pidiellini applicano il monito di Schifani alla linea finiana: “Lealtà significa, anche in politica, coerenza e rispetto verso il mandato ricevuto dagli elettori, garantendo spazi di praticabilità nell'azione di governo”, spiega il presidente del Senato per il quale “la politica come servizio alla comunità non può proporre la visibilità individuale come un valore, ma la lealtà pone un presupposto morale che deve alimentarsi all'interno dei singoli partiti e tra gli stessi schieramenti avversari, pur nelle naturali distinzioni di programmi e di ruoli”. Ma al di là dei botta e risposta, le frasi pronunciate da Schifani sono destinate a lasciare il segno. E le prossime ore diranno se - come in molti sostengono al termine di un’altra giornata di tensione -siamo ormai “al redde rationem” o se invece gli strappi troveranno una loro ricomposizione. Anche perché proprio domani, fanno osservano dai ranghi del Pdl, ci sarà quella che è già stata ribattezzata la “tripletta finiana”, cioè i tre appuntamenti attorno ai quali girerà buona parte del dibattito politico: il primo è con Flavia Perina, parlamentare e direttrice de Il Secolo d’Italia che insieme all’ex leader Pd Walter Veltroni presenta una proposta di legge bipartisan per dare il diritto di voto amministrativo agli immigrati regolari che vivono in Italia da almeno cinque anni (tra i firmatari del testo c’è anche l’Udc Rao, già portavoce di Casini, il democrat Salvatore Vassalo e il portavoce del’'Idv Leoluca Orlando). Gli altri due appuntamenti riguardano il tema della cittadinanza: un convegno sulla proposta di legge bipartisan Granata-Sarubbi e quello promosso dalla fondazione finiana Fare Futuro insieme alla rivista “Con” di un altro finiano doc, Italo Bocchino. Tra i relatori lo stesso presidente della Camera e Tarek Ben Ammar.

Tutto questo, in attesa che il Cav. dica la sua

L'occidentale


1 commento:

Anonimo ha detto...

Fini fai pena. Vattene via