sabato 2 ottobre 2010

E' l'odio il cancro dell'Italia

In un momento storico in cui il Paese, ancora avvolto dalla pesante cappa della crisi, avrebbe bisogno di recuperare un forte spirito di coesione nazionale e di respirare un clima più sereno, il vecchio vizio italico delle frizioni ad ogni costo, alimentate dagli egoismi e dalle rivendicazioni personali, sembra voler prendere il sopravvento, alimentato dalla volontà di destrutturare quella stabilità politica che, scelta con decisione dagli elettori nel 2008, rappresenta la conditio sine qua non per traghettare l'Italia verso lidi più prosperi.
Gli italiani non potrebbero mai accettare che, a causa dell'ambizione personale di una piccola nomenklatura che si è messa strumentalmente di traverso dentro la maggioranza di governo, a farne le spese, in ultima istanza, siano proprio loro. Il popolo non ama i tatticismi retrò, aborre tutti quei bizantinismi stile Prima Repubblica che, in passato, lo hanno relegato, da soggetto sovrano qual'è secondo il dettato costituzionale, al ruolo di oggetto passivo dei giochi di Palazzo. Chi, come sino ad ora ha fatto il presidente della Camera, si pone come leader di una nuova destra costituzionale, in cui egli rivestirebbe il ruolo di paladino della Costituzione, dimostra poi di essere il primo che ha prestato il fianco a quei giochetti perversi che rischiano di usurpare un principio sacrosanto e fondante della nostra Repubblica, l'art. 2, che statuisce che «la sovranità appartiene al popolo».
Nel 2008 il popolo ha votato un simbolo, quello del Pdl, all'interno del quale campeggiava la scritta «Berlusconi presidente». Hanno scelto il nascente partito perché riponevano la loro fiducia nella figura di un leader, attribuendogli suffragi talmente ampi da consegnargli un'ampia maggioranza che potesse governare il Paese. Se, d'ora in avanti, dopo la scelta di Fini di dare vita ad un suo organismo politico autonomo, si dovesse verificare qualche incidente parlamentare tale da mettere a rischio la legislatura, ebbene, la responsabilità non potrà che ricadere sul nascente partito del presidente della Camera, pronto a sacrificare sull'altare del suo egocentrismo politico la stabilità di un Governo che intende, completando la stagione delle riforme, dare un futuro concreto, e non solo a parole, all'Italia. In sostanza mettere una spada di Damocle sulla testa di Berlusconi significa metterla sulla testa degli elettori che lo hanno voluto a guidare l'Italia, che sono gli stessi che avrebbero il potere di decretare, prima o poi, la «Fine politica» dell'attuale presidente della Camera.
Certo, se all'interno del clima politico teso che si è venuto a creare ci sono personaggi che, come Di Pietro, si mettono soffiare sul fuoco dell'antagonismo ideologico contro il nemico, contribuendo ad alimentare un sentimento di odio viscerale che, in taluni soggetti esagitati o con fragilità mentali, rischiano di innescare reazioni estreme e inconsulte, gli ostacoli che si frappongono alla necessità di tutelare la pace sociale si infittiscono pericolosamente.
Chi utilizza la radicalizzazione dello scontro politico come strumento per conquistarsi le prime pagine dei giornali, chi rappresenta Berlusconi come un nemico da abbattere o un pericolo per la democrazia, come simbolo della corruzione, della mafia e dell'abuso di potere, non si può poi sorprendere se accade che la violenza del «verbo», in alcuni casi, possa tradursi in azione concreta, soprattutto perché vi sono soggetti che non aspettano altro che si crei un retroterra che legittimi i loro desideri di vendetta. Ciò che è accaduto al presidente Berlusconi, vittima di un gesto sconsiderato e deplorevole che ha attentato alla sua vita, rappresenta purtroppo un precedente, recente, di ciò a cui può portare un clima di tensione che l'Italia ha già vissuto negli anni '70.
L'ignobile agguato che poteva costare la vita al direttore Belpietro, a cui Ragionpolitica esprime tutta la sua solidarietà, sembra portare la lancetta italiana indietro di qualche decennio, quando le parole, pesanti come piombo, erano semi che, alimentati dal livore ideologico, germinavano nell'humus dell'antagonismo, brodo di coltura dell'eversione. La vile aggressione contro il direttore di Libero, fortunatamente sventata dalla sua scorta, rappresenta non solo un attentato alla sua vita, ma anche un pericoloso atto di intimidazione nei confronti della libera informazione, nei confronti di un professionista che rappresenta un'area moderata che è vista con il fuoco negli occhi da parte di chi ispira il suo pensiero, ed evidentemente anche la sua azione, all'odio viscerale. Ci auguriamo che ciò che è accaduto a Belpietro, a quasi dieci mesi di distanza dal gesto violento perpetrato ai danni del presidente Berlusconi a Milano, rappresenti un precedente isolato, un precedente che però dimostra come sia fondamentale stemperare il clima di tensione che si è venuto a creare in questo frangente politico.

da "Ragion politica"
(A.Franceschelli)

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