giovedì 15 settembre 2011

Da Il sussidiario.net

SCENARIO/ 1. Sapelli: vi spiego il gioco

dei "poteri forti" che comandano la crisi

mercoledì 14 settembre 2011

L’ultimo requisito statualistico che rimane è quello dell’imposizione fiscale, con le conseguenze devastanti a fronte dell’impossibilità di stabilire statualisticamente le controprestazioni, con la devastazione della legittimazione dello Stato medesimo a fronte del costo pagato dai cittadini per via dell’imposta: dove la repressione fiscale è l’altro vero volto della crisi economica mondiale in corso.

La crisi, quindi, è destinata a durare sino a quando non verranno ascoltate le raccomandazioni prima di Volcker, anziano e saggio ex presidente della Fed e per un breve tratto di strada a fianco dell’impresentabile Obama, ora di Sir John Vickers, incaricato di formulare il piano di regolazione radicale degli intermediari finanziari nelle felici isole del Regno Unito, fuori dall’euro. Le raccomandazioni di Sir John sono tutte dirette a spezzare l’industria finanziaria, dividendo le attività ora unite del retail per l’economia reale e per le famiglie, dalle attività di trading, eliminando così il rischio. Ma i top manager stockoptionisti hanno già aperto il fuoco minacciando di lasciare la City: del resto hanno nelle loro mani la politica. E hanno questo potere di fatto in tutto il mondo e quindi è impossibile che tale potere permetta simili riforme: sono rivoluzioni… che farebbero a pezzi un immenso potere

E la crisi ha anche l’aspetto essenziale dell’interruzione della catena virtuosa della produzione di merci per mezzo di merci: è una crisi di sovrapproduzione, con disoccupazione strutturale di lunga durata per via della ristrettezza crescente dei mercati interni. Essa si è determinata negli ultimi anni per via dei bassi salari che hanno accompagnato in tutto il mondo la produttività del lavoro di origine tecnologica: lo sfruttamento operaio è giunto a livelli parossistici, confermando la tesi di Kalecki che il capitalismo ad alti tassi di profitti tende a mantenerli facendo di tutto per innalzare il livello di disoccupazione.

Il capitalismo delle alte tecnologie teme come il diavolo l’acqua santa la piena occupazione: non può sopportarne neppure la vista. Oggi la crisi di sovrapproduzione mondiale non può più essere controbilanciata neppure dalla crescita dei Bric, che crescono meno di quanto è necessario per la circolazione del capitale: di qui una crisi di lunga durata e di grandi sofferenze sociali.

Mi dicono che tutto dipende dal debito pubblico: rispondo che il Belgio ha un debito pubblico immenso e un’assenza del governo da quasi 500 giorni, eppure non è scelto come bersaglio dall’oligopolio finanziario mondiale. E il Giappone, che pure ha il debito pubblico più elevato del mondo, non cresce per la deflazione e non per il peso del debito.

Certo: il debito pubblico lega le mani agli stati che scagliano nei mercati la loro necessità di finanziarsi per far fronte alle crisi di rappresentatività e di efficienza di un welfare statolatrico mentre si schiantano sotto il peso dei calibri speculativi delle banche universali che gli stati stessi non vogliono spezzare o ridurre. Il tutto si avvoltola attorno l’arcolaio di una storia senza fine di una globalizzazione che ha distrutto ogni senso di giustizia. Nessuno sa più che cosa sia la giustizia, tutti sanno che cos’è il debito pubblico…

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