lunedì 13 ottobre 2014



                        DISASTRO ITALIA

C’era una volta Guido (e la protezione civile)

L’efficienza di Bertolaso uccisa dalle inchieste 

L’orgoglio italiano ridotto a «un’aspirina»


L’Italia è una Repubblica (poco) democratica fondata sul capro espiatorio. Siamo così impegnati, ad ogni calamità, incidente, scandalo, a cercare le colpe, da dimenticare i rimedi per evitarne di nuovi. Così abbiamo l’alluvione di Genova, che irrompe nel 2014 con la stessa furia distruttiva del 2011. Autunno allora, autunno adesso. E via, la girandola delle accuse, modellate come plastilina contro l’avversario di turno.
Le soluzioni, dunque. Franco Gabrielli, numero uno della Protezione Civile, è stato chiaro: «La Protezione Civile è senza mezzi, è come se mi avessero mandato sul fronte con una scatola di aspirine». È tutto qui, dunque, il problema, agibilità e risorse. E il pensiero non può non andare a quegli anni spericolati del Governo Berlusconi, quando a capo del Dipartimento c’era Guido Bertolaso. Rifiuti di Napoli e il terremoto dell’Aquila. L’emergenza del sisma del 2009 diventò ferita nazional popolare, e il Paese si strinse attorno a quell’uomo che riusciva dove altri non riuscivano, celebrità (perchè lo fu, eccome) risaltata dalle occhiaie di chi, tra un vertice, un coordinamento e un nuovo campo da allestire, evidentemente dormiva pochissimo. E i risultati c’erano. La reazione dello Stato all’emergenza del sisma aquilano fu esemplare. Nel 2010, l’Ocse, per la prima volta redasse un rapporto su un sistema di protezione civile del suo complesso, il nostro. E ne sottolineò «l’efficacia di coordinamento», con il governo centrale. Proprio in quello studio, dunque, si sottolineava che l’aver collocato il Dipartimento della protezione civile sotto la diretta responsabilità del Presidente del Consiglio era garanzia delle migliori condizioni per gestire le crisi. All’Aquila si ebbe il paradigma più significativo di quella filosofia. La dimensione internazionale della Protezione Civile di Bertolaso non si fermò nelle lodi dell’Ocse. Nel Gennaio 2010 fu incaricato dal Governo di recarsi ad Haiti, colpita da un devastante terremoto, per partecipare al coordinamento delle attività di soccorso. D’altronde, anche in questo ramo a Bertolaso l’esperienza non mancava, considerando che nel 2005 un editoriale del Corriere della Sera evidenziava come l’Italia, simbolo nel mondo della disorganizzazione, nel portare il proprio contributo alle popolazioni del sud est asiatico colpite dallo Tsunami aveva dimostrato doti di efficienza molto superiori alla nordica (e per questo celebre per pianificazione) Svezia. Tutto questo grazie alla Protezione Civile. Autore dell’articolo: Mario Monti. Proprio negli anni del suo governo cominciò il progressivo depotenziamento della Protezione Civile. Figlio, ovviamente, di quel turbinio mediatico-giudiziario che colpì Bertolaso e lo portò, a fine 2010, a lasciare. Già, perchè l’Italia non ama gli uomini forti e risolutori. Per i quali la tenaglia è sempre pronta. E quella di Bertolaso fu particolarmente stringente. La sua vita e la sua missione professionale furono terremotate da indagini giudiziarie e inondate da campagne mediatiche a suon di intercettazioni, con una sfumatura di gossip. Il tutto a un passo da un provvedimento del governo per riformare la Protezione Civile, e trasformarla in Spa. Il tutto quando Berlusconi aveva annunciato la sua intenzione di nominarlo ministro. Ma si sa, in Italia va così. E le migliori intenzioni si sciolgono nella cronaca giudiziaria, che raggiunge punte paradossali come nel processo "Grandi Rischi", fondato sulla implicita convinzione di certa magistratura che in Italia i terremoti si possono anche prevedere. In questo processo, diviso in due tronconi, Guido Bertolaso è stato sottoposto ad un supplemento di indagine dopo due richieste di archiviazione della Procura della Repubblica respinte dal Gip. Questo è il risultato del "grande trauma": il principio che di fronte all’emergenza non sia più consentito agire "in emergenza", facendo prevalere la politica sulla burocrazia e accettando il rischio che per salvare vite umane e mettere in sicurezza città si possano infilare qualche sciacallo tra le pieghe di una missione nobile. E così, ora, chi deve agire ha le mani legate e niente più di una scatola di aspirine. E chi ha agito, come Bertolaso (che non ha al momento alcuna condanna), ora lo fa in altri Paesi, come Sudan ed Etiopia, dove la disperazione non aspetta, certo, un nulla osta. E noi, qui, a girare in tondo, alla ricerca di colpe mentre l’Italia crolla.
Pietro De Leo (IL TEMPO)

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